Socialità

Tutti a lavorare! Certo, e chi lo mette in discussione. Ma se uno, disgraziatamente, si ammala gravemente o è vittima di un infortunio con danni alla salute permanenti? Invalidi lavorerete secondo “modalità adeguate”. D’accordo, e  quali sarebbero queste modalità adeguate? «Si tratta di finzioni giuridiche in quanto anche i paracarri sanno che non esistono più possibilità professionali per queste persone. Non posso che indignarmi di fronte a questa situazione che miete centinaia di vittime». A sollevare la questione è Bruno Cereghetti, esperto in materia, che va dritto al sodo: «Si tratta di uno scandalo sociale in Svizzera con una legge a senso unico, la quale dà credito a perizie dal sapore unilaterale, e con una giurisprudenza del Tribunale federale che conferma».

Incontriamo Bruno Cereghetti a Locarno dove, dopo avere diretto fino al 2010 l’Ufficio dell’assicurazione malattia del Canton Ticino, ha aperto uno studio di consulenze e rappresentanze in procedimenti legali, amministrativi o riguardanti aspetti pratici nel settore delle assicurazioni sociali. Per difendere anche chi non avrebbe altrimenti la possibilità – leggasi la disponibilità economica e/o interpretativa – di tutelare i propri diritti in caso di controversie con l’Assicurazione invalidità (Ai).


Cereghetti, una lunga militanza politica nel Partito socialista con ruoli anche istituzionali, ha sempre dichiarato di avere a cuore la difesa dei valori di socialità equa e di giustizia sociale, facendo  attenzione a promuovere al contempo  le libertà individuali. Cereghetti è un uomo dal forte senso dello “Stato”, che crede ancora in questa parola. Per questo motivo non riesce a digerire la prassi instauratesi con le ultime revisioni dell’Assicurazione invalidità: «Lo Stato deve assicurare un procedimento equo a chi avvia una pratica per la richiesta delle indennità di invalidità e non può comportarsi al pari delle assicurazioni private, che perseguono obiettivi economici. Si è creato un sistema basato su perizie unilaterali promosso dall’Ai che, per il meccanismo venutosi a creare attorno a esse, si fatica a considerarle veramente neutrali (vedi articolo accanto, ndr). Perizie che spesso condannano definitivamente, con il beneplacito della giurisprudenza, gli assicurati che sono la parte più debole e non hanno sempre i mezzi, soprattutto finanziari, per opporsi».


Detta brutalmente: «L’assicurazione invalidità, intesa come assicurazione veramente sociale, non esiste più. O meglio esiste solo per i grandi invalidi: gli altri rischiano di vedersi negare, o improvvisamente ridurre, una prestazione che in un paese moderno di indirizzo sociale e umanistico non dovrebbe essere messa in discussione». Cerchiamo di capire che cosa si intenda per grande invalido e facciamo noi un esempio: «Se in un incidente perdessimo un l’arto superiore e la mano destra, e siamo giornalisti, avremmo evidentemente diritto alla rendita... o no?». La risposta non è scontata: «Il danno all’integrità fisica non potrebbe ovviamente essere negato. Si tratterebbe di fissare il grado di inabilità lavorativa: per ottenere una rendita completa occorre che il perito stabilisca un grado di inabilità professionale pari ad almeno il 70%. Con gradi sotto il 40%, nonostante un comprovato danno, non viene erogata la prestazione. Non è realtà da poco: ci sono tantissimi casi in cui viene stabilito un grado di invalidità dal 36 al 39%, e quindi non si matura il diritto alla rendita. Per tornare alla vostra domanda. Siete menomati della mano destra? Il perito potrebbe stabilire che siete in grado di sostenere lavori adeguati alla nuova condizione: cercatevi a questo punto un datore disposto ad assumervi. Non lo trovate o non avete la capacità di reagire al vostro dramma personale? L’Ai – sulla base di una perizia considerata come un assoluto anche dai giudici – vi scaricherà sull’assistenza. Se avete sostanza, vi potreste mangiare la casa. È un gioco di scaricabarile fra assicurazioni sociali. In questo modo l’Ai può dimostrare di avere sotto controllo i costi e, anzi, che li sta contenendo. Ma è scandaloso che lo Stato metta i cittadini in ulteriore difficoltà: in questo modo viene a cadere il principio fondante di un’assicurazione sociale intesa anche per evitare il ricorso massiccio e generalizzato all’assistenza sociale».


Che cosa è successo perché si giungesse, con la quarta e la quinta revisione, a inasprire l’accesso all’Ai? Si è a lungo dibattuto nell’opinione pubblica di abusi, di falsi invalidi che avrebbero fatto esplodere i costi fino ad arrivare a un totale di 10 miliardi di franchi annui sborsati dallo Stato per le rendite...
Dalla metà  degli anni Ottanta la politica sociale è stata improntata nell’ottica di misure proattive a tutela del cittadino e l’assistenza era un aiuto erogato per casistiche socialmente estreme. Non è assolutamente vero che l’Ai era data a chiunque. C’era un’analisi rigorosa e veniva concessa unicamente di fronte a comprovati fattori invalidanti, mentre si esigeva che il potenziale beneficiario della rendita si desse da fare per minimizzare il danno.  Era un importante ammortizzatore sociale e per questo si può essere stati talvolta pure indulgenti per evitare che la persona, considerata oggettivamente non più reinseribile nel mondo del lavoro, finisse in assistenza. Ma non era certo la regola. Arriviamo verso il 2000: i conti dell’assicurazione invalidità  sono in rosso e si introduce una visione settoriale e rigida del sistema. L’Ai chiude i rubinetti in una misura al limite dell’inaccettabile, si agisce in maniera draconiana e... i costi vengono trasferiti sull’ufficio dell’assistenza.


L’Ai dichiara di avere come obiettivo il reinserimento professionale degli invalidi. Non è buona cosa?
È per gran parte un’azione di marketing, ma assai vuota nei contenuti. La reintegrazione è sventolata come un biglietto da visita dell’Ai, che per la sua riforma si è basata su studi autoreferenziali. Ad esempio a un largo campione di datori di lavoro è stato chiesto se fossero stati disposti ad assumere persone invalide. La risposta? Scontata: la totalità degli interpellati ha dichiarato che sì, nelle loro aziende e nei loro uffici le porte erano aperte. Nella pratica non va in questo modo: il sistema funziona fino a quando l’ente pubblico eroga sussidi per il collocamento di invalidi. Quando il contributo statale si esaurisce, sono pochi coloro che assumono una persona con problemi di salute, la quale dal punto di vista della resa può non essere paragonabile ad altri lavoratori. Sono obiettivi molto declamatori, e per certi versi anche farisaici, perché si sa già in partenza che non saranno soddisfatti.


I numeri però sembrerebbero dare ragione all’Ai e dire che sì è riusciti a reintegrerare molte persone...
Non nego che ci possano essere casi virtuosi, ma da lì a trarne la regola aurea ce ne passa. Come detto alcuni assicurati vengono provvisoriamente collocati da datori che li tengono finché lo Stato contribuisce al pagamento dello stipendio. Vi è un altro aspetto che incide sulle statistiche. Con la quinta revisione della legge è stato introdotto l’annuncio preventivo all’ufficio dell’invalidità. Che cosa significa? Che uno si rompe una gamba, va in infortunio per determinate settimane, ed ecco che l’Ai apre  un incarto “a titolo preventivo”. La persona, una volta guarita rientra al lavoro: cosa che era scontata già all’inizio. L’Ai  però ha un caso aperto che va chiuso e si mette il gallone per il “successo”, spacciandola per reintegrazione professionale.


Che cosa la indigna di più nei cambiamenti avvenuti con lerevisioni dell’Ai?
È stata rivista l’impostazione giuridica a sfavore degli assicurati. Prima della quinta revisione, l’Ai emetteva una decisione e il diretto interessato poteva fare opposizione senza spese. Nel frattempo sono state cambiate le regole del gioco che limitano il diritto di difendersi di chi non ha grandi mezzi economici. La decisione formale, che dava diritto di inoltrare ricorso al Tribunale cantonale delle assicurazioni in maniera gratuita, è stata sostituita con il progetto di decisione con un minor valore protettivo per il cittadino. E il ricorso non è più gratuito. Non solo. La vecchia decisione formale non ammettava la reformatio in peius (riforma in peggio): ciò che era stato riconosciuto dallo Stato come danno alla salute era acquisito in caso di opposizione dell’assicurato. Oggi se un assicurato non è d’accordo con il grado di invalidità stabilito e fa legittimamente opposizione può vedersi diminuire o azzerare la rendita dall’amministrazione, che per emettere il giudizio finale si rifà alle famose perizie. Il problema non è il giudice, che deve confermare una prassi, ma la legge, e soprattutto la pratica amministrativa, che stanno a monte. C’è chi rinuncia a formulare osservazioni per paura di autodanneggiarsi perché una nuova perizia potrebbe rimettere in discussione il danno già accertato. Per opporsi non basta una controperizia: occorre a tutti gli effetti una superperizia il cui costo è di parecchie migliaia di franchi, che non è alla portata di tutti. Per questo mi indigno: lo Stato non può comportarsi come un’assicurazione privata. Il concetto di dignità dello Stato, che tutela indistintamente i suoi cittadini, deve tornare a essere un principio vivo. In questo senso la legge federale sull’Ai deve essere riformata in senso veramenta sociale. E ciò in modo sostanziale, non solo a parole. Ma a Berna nessuno si muove in questa direzione. Anzi: le proposte di irrigidire quanto oggi è già asperrimo sono all’ordine del giorno.

Pubblicato il 

07.04.16