Non è con la precarietà che si guarisce il paese

Ocse e Ilo lo dicono a chiare lettere: la disoccupazione è in aumento nel G20 e quasi in tutto il mondo e nella crisi sistemica aumentano diseguaglianze e povertà. C'è chi se la cava e chi è messo peggio, e tra questi ultimi l'Italia è superata, in Europa, solo da Grecia e Spagna.

 

Se la disoccupazione sfiora il 13%, quella giovanile si avvicina al 50% e le cose vanno peggio al sud e tra le donne. Da anni l'economia italiana è allo sbando e a soffrire di più è il comparto industriale. Il metalmeccanico è il più colpito, dall'automobile alla siderurgia, ai cantieri navali. La Fiat è trasmigrata negli Usa per la ricerca, l'innovazione e la stessa produzione, in Olanda e Gran Bretagna per fisco e finanza. In Italia restano piccoli poli produttivi e sulla collettività si scarica la crisi attraverso gli ammortizzatori sociali, a partire da Termini Imerese (auto) e Irisbus (pullman) chiuse da Marchionne e per cui si spera in interventi esteri per far ripartire la produzione. Indiani e cinesi sono corteggiati dal governo, per l'automotile come per la siderurgia: l'Ilva è in crisi ambientale, economica e morale, Piombino, ex Lucchini, è chiusa e così come l'Alcoa (alluminio). I mancati investimenti pubblici sulla cantieristica navale stanno determinando la perdita di competitività del settore, mentre la pubblica privatizzanda Finmeccanica punta piuttosto che sulle navi sulle armi, unico settore che tira. Potremmo rimpolpare il cahier de doléances con le tlc, l'informatica, persino con la filiera produttiva delle energie alternative al fossile. Stesso dicasi per la chimica, il tessile, l'edilizia. Anche il turismo vacanziero e d'arte batte in ritirata. Si salva l'agroalimentare d'eccellenza.


Il governo Renzi, come i tre che l'hanno preceduto, spicca per l'assenza: non c'è una politica di indirizzo, non un'idea per la ripresa, non si parla di nuovo modello di sviluppo. E così le uniche parole del vocabolario renziano sono riforme, privatizazioni, costo del lavoro, flessibilità in uscita. La cura per guarire il cavallo sarebbe l'arsenico della precarietà, come se non ce ne fosse già abbastanza. E mentre l'ennesima spremitura dei dipendenti pubblici con il rinnovato blocco dei contratti (in 4-5 anni i salari hanno perso quasi 5 mila euro l'anno) fa esplodere il malcontento dei lavoratori e dei sindacati, poliziotti, carabinieri, finanzieri, militari minacciano il primo sciopero della storia dei portatori di armi.


Tranquilli, adesso arriva il jobs act, per ora un'Araba Fenice. Si dice che dovrebbe sbloccare il mercato del lavoro, eliminando vincoli e burocrazie, leggi Costituzione e Statuto dei lavoratori. Magari senza cancellare l'art.18 sui vincoli ai licenziamenti, ma riducendo ulteriormente l'area dei tutelati. Si parla di un triennio senza diritti statutari per i neoassunti in cui il padrone avrebbe mano libera sulla forza lavoro, e solo dopo 36 mesi scatterebbero le tutele. Si parla di mini-jobs alla tedesca, ma senza il reddito minimo per tutti. Si punta a sterilizzare la contrattazione di primo livello per rafforzare quella aziendale, per la minoranza di dipendenti che ce l'ha. Non si parla di co-determinazione alla tedesca, cioè di partecipazione agli utili e presenza dei sindacati nei cda. È il modello tedesco all'italiana.

Pubblicato il

10.09.2014 21:47
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