L'editoriale

Arlind Lokaj, 17 anni, è nato in Ticino, qui ha vissuto i primi anni della sua vita, qui ha i suoi affetti, a partire dalla mamma da cui è tornato dopo essere stato abbandonato dal padre, qui è perfettamente integrato e benvoluto, qui ha la sua squadra di calcio, qui ha frequentato una scuola e qui, a settembre, avrebbe incominciato un apprendistato. Ma il suo sogno di poter finalmente condurre una vita normale per un ragazzo della sua età è stato spezzato dalla dissennatezza, dall’egoismo e dall’opportunismo di quattro governanti da strapazzo, fabbricanti di drammi umani, che per lui hanno deciso un altro destino: il rientro in Kosovo, dove non ha più nessuno.


Dopo aver lasciato il giovane in angosciante attesa di conoscere la sua sorte per mesi, e sorda ai pressanti appelli provenienti dalla società civile, dalle autorità religiose e da esponenti politici, la maggioranza del Governo ticinese ha i confermato il provvedimento di espulsione di Arlind.


Ci racconteranno che “la legge è la legge”, che “se si fa un’eccezione per uno poi si creerebbe un precedente”, che per Arlind il rientro in patria non costituisce un pericolo per la sua incolumità” e altre baggianate di questo tipo. Ma questi sono discorsi da funzionari che applicano le norme alla lettera e non da statisti che hanno il dovere di prendere decisioni politiche anche al di là delle regole, guardando per esempio agli aspetti umani di una vicenda. Le norme sulla politica migratoria in vigore in Svizzera sono sì profondamente disumane, ma lasciano ancora spazio a delle eccezioni. È il governo ticinese (secondo nostre informazioni, con il voto contrario del solo Manuele Bertoli) che ha deciso di non sfruttare questo spazio.
Certamente non ci si poteva aspettare di meglio dal titolare del dossier e capo del Dipartimento delle istituzioni Norman Gobbi, portatore del più bieco leghismo nostrano che ancora pochi anni or sono si esibiva ai bordi di una pista di hockey con gesti scimmieschi e urla razziste all’indirizzo di un giocatore di colore della squadra avversaria. E forse nemmeno dal suo collega di partito Claudio Zali, nonostante il senso di giustizia che un ex magistrato dovrebbe possedere.


Ma da Laura Sadis ci si poteva aspettare che tirasse fuori i valori del pensiero liberale e da Paolo Beltraminelli che si ricordasse il significato della carità cristiana. Invece no: anche loro, un po’ contaminati dal leghismo imperante e un po’ col pensiero agli interessi elettorali di bottega, hanno messo alla porta un ragazzo di 17 anni. Semplicemente vergognoso!


Ma la storia di Arlind non può chiudersi così, con un comunicato governativo di sette righe. Per martedì prossimo 15 aprile (17.30 alla Posta di Bellinzona) è già convocata una manifestazione popolare. La situazione è complicata, ma la speranza deve essere l’ultima a morire.


Nel 1995 in Ticino viveva una famiglia kosovara con un bambino di 10 anni che, nonostante l’affetto di molte persone, stava per essere definitivamente espulsa dal paese. Poi, grazie al concorso di una serie di circostanze, ottenne il diritto di restare. Era la famiglia di Valon Behrami, il nazionale svizzero che Gobbi, Zali, Beltraminelli e Sadis applaudiranno ai prossimi mondiali di calcio in Brasile.

Pubblicato il 

10.04.14

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