Il gruppo Pagani è un nome conosciuto nella zona di Biasca. Composto principalmente dalla Pagani Sa, dalla Trevalbeton Sa e dalla Cst impresa di costruzioni Sa, il gruppo aveva alle sue dipendenze tra i 100 e i 120 dipendenti. Si occupava di edilizia e pavimentazione. Si occupava perché il 24 ottobre 2005 gli operai, stufi di vivere nella continua incertezza di non sapere se la paga arrivasse o no, sorretti dai sindacati, hanno smesso di lavorarci. A quel momento è scattata la procedura di moratoria concordataria per il gruppo Pagani. Obiettivo: cercare di salvare economicamente la ditta a seguito di un parziale pagamento dei debiti nei confronti dei creditori. Ad un anno di distanza, dopo un lavoro certosino, il commissario della moratoria concordataria, l'avvocato Luca Guidicelli, ha chiuso l'inventario. La Pagani Sa ha un totale di debiti di oltre 10 milioni e 320 mila franchi, la Trevalbeton arriva a oltre 5 milioni e 700 mila franchi, mentre la Cst raggiunge i quasi 9 milioni di debiti. Complessivamente il gruppo ha 25 milioni di debiti di cui 4 per oneri sociali. Tenuto conto che per poter partecipare ai lavori pubblici cantonali è necessario presentare delle dichiarazioni in cui si certifica il pagamento degli oneri sociali, come si è arrivati a una così grave situazione debitoria senza che i meccanismi di controllo siano scattati in precedenza?

Per tentare di salvare la ditta tramite il concordato sono necessari circa 10 milioni. Soldi che secondo il commissario Guidicelli nella situazione attuale sono impossibili da reperire. Da qui la  revoca della moratoria decretata dal pretore di Biasca Giovanni Celio il 18 ottobre 2006. Revoca che apre la strada al fallimento del gruppo Pagani, se non fosse che l'avvocato Franco Pagani, azionista di riferimento, e Livio Strozzi, amministratore unico, hanno inoltrato ricorso presso la Camera esecuzione e fallimenti del Tribunale d'appello. E quest'ultima ha concesso l'effetto sospensivo. «Non per un giudizio di merito ma per avere il tempo di studiare il caso. La nostra intenzione è di arrivare ad esprimerci in tempi brevi», ha commentato Spartaco Chiesa, il presidente della Camera di esecuzione e fallimenti.
Questa la cronaca legale degli ultimi sviluppi di questa intricata e lunga vicenda.
Ma l'inizio della storia ha visto protagonisti prima tutto degli uomini e delle donne e le loro rispettive famiglie che vivevano con grande incertezza il futuro professionale e soprattutto con l'angoscia di non sapere se a fine mese la paga sarebbe arrivata. Per molti mesi i lavoratori, sostenuti dai sindacati, hanno tenuto assemblee mattutine nel magazzino, con minaccia di non più lavorare se non fossero arrivati i soldi. E allora via con promesse di versamenti di paga, a volte mantenute a volte no, con giri successivi nei cantieri a versare, quando era possibile, l'anticipo salariale promesso. Oppure con cantieri bloccati a metà perché i fornitori rifiutavano di fornire il catrame restante o perché mancavano i soldi per la benzina per i macchinari. O ancora, con dei camion spariti, ritenuti in un primo momento rubati e per poi scoprire che erano stati prelevati nottetempo dalla ditta di leasing che non si vedeva pagate le rate da tempo. O ancora la corsa a Camorino a cambiare il nome sulla carta grigia della ditta proprietaria dei camion da Pagani Sa a Trevalbeton, perchè qualcuno si era accorto che la Pagani Sa non aveva i conti in regola per partecipare ai lavori pubblici.
Igor Cima, sindacalista Unia di Biasca che ha seguito l'intera vicenda per quasi due anni si chiede come sia possibile che la disastrata situazione finanziaria del gruppo Pagani non sia stata segnalata da nessun organo competente. «È difficile credere che quei 25 milioni di debiti siano stati accumulati solo nell'ultimo anno. Come sindacato ne veniamo a conoscenza solo quando il salario non arriva agli operai. Ma a quel punto la situazione economica è già molto grave, quasi compromessa. Le aziende in difficoltà finanziaria in una prima fase non pagano gli oneri sociali e se non riescono a riemergere, in ultima ratio, non pagano i salari. L'impressione è che siano saltate diverse forme di controllo precedenti durante le quali nessuno ha suonato l'allarme».
Avs, Ai, Cassa disoccupazione, Suva, casse pensioni, casse malati sono gli organi incaricati della gestione degli oneri sociali. E sono i primi a non essere pagati quando le cose non vanno bene. Complessivamente i debiti accumulati dal gruppo Pagani per oneri sociali ammontano a 4 milioni di franchi. Eppure il gruppo ha continuato a lavorare per il Cantone. Dato che due ditte del gruppo Pagani erano affiliate alla Cassa Avs cantonale, ci siamo rivolti all'Istituto delle assicurazioni sociali (Ias) del Cantone. Ci hanno detto che nelle dichiarazioni rilasciate dalla Cassa Avs alle ditte sullo stato del pagamento degli oneri sociali, viene chiaramente segnalato la situazione dei pagamenti della ditta in quel preciso momento. Ossia viene indicato se la ditta è in regola con i pagamenti, se ha chiesto una dilazione oppure se ha degli scoperti. La Suva indica nelle dichiarazioni rilasciate, valide per sei mesi, fino a quando sono stati pagati i premi. E qualora la ditta abbia chiesto una dilazione o sia in ritardo con il pagamento degli oneri sociali, in base all'articolo 39 della legge sui lavori pubblici, quest'ultima viene automaticamente esclusa dai concorsi come ci è stato confermato all'Ufficio dei lavori sussidiati e degli appalti. Eppure il gruppo Pagani, con una ditta o con un'altra, ha continuato a parteciparvi. Per capire perché non si sia riusciti a fermare in tempo la grave situazione debitoria del gruppo Pagani, abbiamo interpellato molti degli attori coinvolti. Tutti hanno affermato di aver agito correttamente. Dove sta dunque il problema e quali sono le soluzioni possibili? Alcuni invocano una autoregolamentazione da parte dell'associazione di categoria, nel caso specifico la Società svizzera degli impresari costruttori (Ssic), che permetta di escludere i furbi. Altri chiedono una maggiore severità dello Stato nel chiedere il fallimento delle ditte morose in tempi rapidi, come avviene in altri cantoni. Quello su cui tutti concordano è la necessità porre rimedio alla facilità con cui oggi è possibile far fallire una ditta e aprirne un'altra il giorno dopo differenziandosi dalla precedente solo per il nome. Sono anche tutti d'accordo nel constatare una mancanza di volontà politica. Tutto ciò con grave danno per i lavoratori delle ditte coinvolte, per le ditte del settore vittime di concorrenza sleale e in definitiva per tutti i cittadini che pagano regolarmente tasse e oneri sociali che servono anche a coprire i buchi causati dai furbi. Per dover di cronaca, segnaliamo che nel 2003, l'avvocato Franco Pagani è stato condannato in Italia per bancarotta fraudolenta della Reproad, fallita nel 2001. Era stato accusato di essersi appropriato di macchinari, mezzi logistici e liquidità della Reproad per un valore di un miliardo e mezzo di vecchie lire.

"Un malandazzo diffuso"

Avvocato Luca Guidicelli, dal suo osservatorio di commissario di moratoria concordataria, quanto avvenuto con il Gruppo Pagani è un caso isolato?
Il malandazzo è diffusissimo. Il ragionamento iniziale è: lo Stato non deve far fallire una ditta. Vero, ma più si aspetta, più una ditta rischia di creare dei buchi finanziari, in particolare negli oneri sociali. E chi li paga questi? I cittadini tramite le tasse, quindi tramite lo Stato. Sarebbe dunque meglio per lo Stato fare uso della possibilità legale di far fallire una ditta senza preventiva esecuzione. Se lo Stato ha già un paio di attestati carenza beni ad esempio per contributi Avs non pagati, si presenta dal giudice e chiede il fallimento senza preventiva esecuzione. In questo modo la spirale debitoria viene fermata in tempo.
Come si è arrivati a interrompere il  malandazzo del Gruppo Pagani?
È stato fermato dal Tribunale d'appello sul ricorso di una delle tre ditte del gruppo escluse da un concorso.
Il gruppo Pagani si presentava con una ditta che era in regola con il pagamento degli oneri sociali. Ma lo era perché non aveva dipendenti. Una difficoltà ulteriore era capire la struttura delle ditte del gruppo Pagani. Se gli azionariati non sono pubblici e trasparenti, come si fa a dire che quella ditta è la copia di quell'altra?
Quali possono essere le soluzioni?
Anche le associazioni di categoria possono darsi delle regole. Ad esempio, l'Ufficio esecuzione e fallimenti appena emette un attestato di carenza beni nei confronti di un avvocato ha l'obbligo di segnalarlo alla Camera dell'avvocatura e notariato, la quale procede all'esclusione dell'avvocato moroso. Lo stesso avviene nel caso in cui un tribunale ha condannato definitivamente un'avvocato. Quest'ultimo viene segnalato all'ordine e quindi espulso. In questo modo potrebbe agire anche la Ssic. C'è però una difficoltà in più, cioè che la ditta è una persona giuridica e può "riciclarsi" il giorno dopo con un'altra ditta appositamente creata. Cosa invece impossibile per un avvocato. Ma si tratta di studiare degli accorgimenti in tal senso. Un'altra soluzione potrebbe arrivare dal Cantone. La Confederazione ha creato l'Ufficio centrale d'incasso. Questo ufficio raggruppa tutte le fatture non pagate alla Confederazione e successivamente avvia la procedura di esecuzione per il pagamento di tutte le fatture scoperte. Si potrebbe creare un ufficio simile a livello cantonale, che abbia una visione totale degli scoperti nei confronti del Cantone, oneri sociali compresi. Questo andrebbe a beneficio di tutti perché il Cantone incasserebbe le sue fatture integralmente che andrebbero a riempire le casse cantonali.
Nel caso del Gruppo Pagani si arriverà anche a delle denunce penali?
Posso dirle che non solo ci sono delle denunce di privati su fatti successi, ma c'è anche una mia segnalazione al Ministero pubblico. Non si tratta di una denuncia vera e propria con tanto di accuse a persone particolari, ma ho semplicemente segnalato alle autorità competenti un fatto che mi sembra perlomeno anomalo che non sono in grado di spiegare. Da qui l'invito alla magistratura a fare delle verifiche.

"Il caso Pagani, una vergogna"

«È una vergogna che si sia arrivati al fallimento del gruppo Pagani e che delle istituzioni pubbliche hanno rilasciato le dichiarazioni di pagamento degli oneri sociali sebbene non fossero mai stati pagati». Non usa mezzi termini Arno Ottini, responsabile dell'impresa di costruzioni Ennio Ferrari Sa di Lodrino, la seconda ditta per importanza cantonale del settore edile. «Facile trattenere i soldi degli oneri sociali agli operai, non versarli agli istituti e poi fare concorrenza sleale a noi». A suo parere cosa è successo? «Intanto questa situazione è andata avanti troppo a lungo. Come hanno potuto concorrere per i lavori pubblici con le dichiarazioni aggiornate necessarie?» Come facevano ad avere queste dichiarazioni? «Forse rilasciavano dichiarazioni su promesse di pagamento mai effettuate». In che modo? «Le faccio un esempio. Chiamo la Cassa pensione e le dico: "ho qui un concorso che mi scade oggi. Mi mandi la dichiarazione che ho pagato la cassa pensione e domani le verso 50 mila franchi". Poi non verso niente, intanto però ho in mano la dichiarazione per poter partecipare al concorso». Sì ma, obiettiamo, il giochetto funziona una volta. Qui sembra che sia andata avanti per tanto tempo. «Mi resta il dubbio, da verificare, che qualcuno li abbia aiutati più volte e non so perché. Vorrei anche sapere se l'Ufficio appalti controlla successivamente se tutte le ratealizzazioni siano state effettivamente pagate». Per Ottini va anche rivisto il funzionamento dell'Ufficio appalti: «Nei Grigioni ad esempio, esiste l'autocertificazione al momento dell'inoltro dell'offerta. L'ufficio appalti grigionese, valutate le 3 migliori offerte, chiede alle tre ditte la prova dell'avvenuto pagamento dei contributi. Questo evita molta burocrazia. In Ticino invece, mi capita di inviare nello stesso mese allo stesso ufficio, allo stesso funzionario, 3 offerte con gli stessi allegati. E cosa se ne fa il funzionario di tutta questa carta?»
Quali lezioni si dovrebbe trarre da questo caso? «Mi auguro che il caso gruppo Pagani, ma anche altri casi recenti, siano uno stimolo per intervenire. Spero lo siano anche per la nostra associazione, la Società svizzera impresari costruttori ticinese, che dovrebbe attivarsi maggiormente per regolare la situazione. Io non voglio nessun favore, voglio essere trattato alla pari degli altri. Chiedo però che le condizioni siano rispettate da tutti, perchè altrimenti c'è sempre chi parte avvantaggiato. E alla fine ci roviniamo tutti. Oltre ai meccanismi di controllo di pagamento dei contributi e relativa possibilità di partecipare agli appalti, c'è la grande questione della troppo facile scappatoia offerta legalmente di chiudere una ditta per fallimento e il giorno dopo riaprirla sotto un altro nome».

Pubblicato il 

08.12.06

Edizione cartacea

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