Quella di spiare i propri dipendenti sembra essere diventata una moda presso alcune grandi aziende tedesche. È degli ultimi giorni lo scandalo di Deutsche Telekom, dove, in base a quanto reso noto dalla Procura di Bonn che coordina le indagini, i vertici del gigante delle telecomunicazioni avrebbero fatto controllare per anni i telefoni e i conti in banca di diversi membri del consiglio di sorveglianza dell'azienda. L'obiettivo era quello di stanare eventuali "gole profonde" in contatto con giornalisti e potenziali concorrenti. I casi di dipendenti spiati (tramite telecamere nascoste, intercettazioni ambientali e telefoniche e persino assoldando detective privati) ormai non si contano più nelle filiali di molte catene commerciali come Schlecker, Plus o Burger King, solo per fare qualche nome. Ma nessuna impresa in Germania è riuscita come Lidl a fare del controllo dei propri lavoratori un sistema compiuto, basato su tecniche degne di un servizio segreto.


In base a quanto ricostruito dal settimanale "Stern" e ammesso, dopo mille reticenze, dalla stessa azienda, nelle filiali di Lidl, tramite telecamere nascoste, veniva registrato quante volte e a che ora i lavoratori andassero alla toilette. Grazie a microfoni occultati negli spogliatoi e nei bagni, i vertici aziendali, inoltre, non perdevano una parola delle conversazioni private dei lavoratori durante le pause. In appositi dossier curati da detective privati veniva descritta persino la situazione familiare dei dipendenti e persino se questi avessero relazioni sentimentali tra loro. Grande Fratello Lidl è arrivato a installare fino a 15 telecamere per filiale, in modo da avere un controllo globale sull'ambiente e sulle persone.
Messa con le spalle al muro dalle rivelazioni di "Stern", l'azienda ha cercato di difendersi, spiegando che le telecamere servivano unicamente ad "accertare eventuali comportamenti sbagliati da parte dei dipendenti". Per Lidl tra i "comportamenti sbagliati" di un lavoratore deve rientrare anche la scelta di farsi tatuare, o quella di portare un orecchino, oppure il fatto di avere il conto in rosso, oppure ancora di avere amici tossicodipendenti, visto che anche particolari come questi trovano spazio nei profili stilati dagli investigatori privati sulla base di filmati e intercettazioni.
Sull'onda dello scandalo, Lidl ha fatto smontare le telecamere e ha chiesto pubblicamente scusa ai dipendenti spiati, ma i rappresentanti dei lavoratori non si fidano. La catena di discount, infatti, non è nuova a comportamenti di questo genere. Nel libro nero su Lidl a cura del giornalista Andreas Hamann, uscito nel 2004, si parlava, infatti, già di controllo sistematico dei dipendenti, di telecamere e microfoni nascosti e dell'utilizzo di detective impegnati a rimestare nella vita provata dei lavoratori. Anche in quell'occasione la direzione aziendale si scusò, parlando di "pochi casi isolati".
Secondo Achim Neumann, responsabile per il settore commerciale del sindacato ver.di di Berlino, il miglioramento delle condizioni di lavoro all'interno dell'azienda può passare solo attraverso la creazione di commissioni interne in ogni filiale. Su un totale di quasi tremila discount sparsi su tutto il territorio federale, a tutt'oggi solo in sei di essi esiste una rappresentanza interna. Un dato sconvolgente, spiegato da Lidl con l'argomento che sarebbero gli stessi lavoratori a non volerle. In realtà le cose stanno diversamente: chi ha cercato di mettere in piedi una commissione interna è stato puntualmente perseguitato dall'azienda. Accuse di furto, misteriosi e reiterati ammanchi di cassa, improvvisi cambi dei turni, mobbing e minacce di licenziamento hanno spezzato le gambe anche ai lavoratori più impegnati e coraggiosi. Se questo stato di cose dovesse continuare, ver.di non esclude di passare alle maniere forti. Come spiega Achim Neumann, il suo sindacato finora si è limitato a denunciare i soprusi che avvengono nelle filiali di Lidl e a sostenere i lavoratori che decidono di fare causa all'azienda; se però dovessero verificarsi nuovi casi di spionaggio e l'azienda continuerà a boicottare la creazione di commissioni interne, non è da escludersi un'iniziativa di boicottaggio dei discount Lidl.


Kik, come "svestire" i diritti dei lavoratori

Il caso di Lidl purtroppo non è isolato. Nel settore dei discount lo sfruttamento dei lavoratori è all'ordine del giorno, come dimostra, tra l'altro, la pressoché totale assenza di commissioni interne in altre grandi catene commerciali come Schlecker o Aldi. Particolarmente grave è il caso di Kik, il discount dell'abbigliamento che, dalla sua sede centrale di Bönen in Vestfalia, controlla oltre 2500 filiali in Germania, Austria, Slovenia e Repubblica Ceca.
L'azienda conduce da anni una lotta senza quartiere contro i dipendenti che cercano di mettere in piedi strutture di rappresentanza sindacale. In Austria, ad esempio, Kik nel 2007 è arrivata a licenziare in tronco Andreas Fillei, direttore di una filiale a Villach e capolista del sindacato dei dipendenti privati Gpa-Djp alle elezioni per la costituzione di commissioni interne.
Fillei e il sindacato hanno fatto ricorso, appoggiati anche dal sindacato del terziario tedesco ver.di, e, dopo mesi di trattative, sono riusciti ad ottenere la riassunzione di Fillei, anche se come semplice commesso, e lo svolgimento delle elezioni che Kik aveva rinviato alle calende greche. Il voto ha visto la vittoria di una lista creata ad arte dalla direzione di Kik ma ha registrato anche un discreto risultato della lista del sindacato Gpa-Djp guidata da Fillei. Ora l'obiettivo di Fillei è quello di convincere il maggior numero di colleghi ad impegnarsi in prima persona, senza cedere ai ricatti e alle minacce della direzione.
Le battaglie da combattere, in Austria come negli altri paesi dove è presente la catena di discount, sono ancora molte, come, ad esempio, il pagamento degli straordinari che l'azienda considera come un gesto dovuto e gratuito da parte dei lavoratori, o la pianificazione dei turni, che la direzione usa imporre ai dipendenti senza consultarli.   

Pubblicato il 

06.06.08

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