Licenziamenti annunciati

Tanto più che dietro ogni posto di lavoro soppresso vi sono delle ripercussioni sulla vita di persone in carne e ossa. Molte aziende continuano a invocare genericamente la crisi o il franco forte per lamentare uno stato di salute precario della loro attività economica. Gli ultimi dati statistici delle esportazioni ticinesi relativi al mese di ottobre indicano però una ripresa, così come i numeri sull’impiego dell’orario ridotto attestano una situazione non allarmante, soprattutto se rapportati al 2009.

 

Rolando Lepori, segretario di Unia Ticino e responsabile dell’industria, ritiene nel complesso buono lo stato di salute del settore. «Anche quando siamo in un contesto di crescita ci sono aziende che fanno fatica e prevedono licenziamenti». Lepori però puntualizza: «La crisi nel mercato europeo non si può negare. Se un’azienda è veramente confrontata con un periodo di crisi e lo dimostra onestamente, possiamo sederci al tavolo per discutere.

 

Il vero problema sono i troppi furbi in circolazione che utilizzano la scusa della crisi o del franco forte semplicemente per guadagnare di più. Non vorremmo che questa diventi la crisi dei furbetti». In altre parole, il sindacato vuole distinguere le aziende colpite da una crisi reale e chi invece usa la parola crisi per imporre ridimensionamenti del personale col fine di massimizzare i profitti.

 

Per tornare ai licenziamenti annunciati dalle tre ditte, che cosa si devono aspettare gli operai che hanno ricevuto la disdetta? 

Quando il numero di licenziati supera il dieci per cento dei dipendenti, scatta la procedura di licenziamento collettivo. Nell’immaginario collettivo questa procedura viene associata ai piani sociali messi in atto dalle aziende per attenuare il colpo economico inferto agli ex dipendenti.

 

La realtà è però diversa, come spiega Lepori. «Legalmente non vi è nessun obbligo di piano sociale. Il Codice delle obbligazioni impone unicamente la procedura di consultazione nei casi di licenziamenti collettivi. Ma si tratta solo di una consultazione, senza nessun obbligo per l’azienda di allestire piani sociali».

 

Non esiste neanche una prassi non scritta sui piani sociali?

«In genere l’azienda si limita a fornire un supporto professionale alla ricerca di un altro posto di lavoro ai licenziati. E questo è tutto». Anche nel caso di colossi multinazionali quali la Caterpillar, proprietaria della Turbomach di Riazzino? «No, neanche per loro. Anche se occorre fare delle precisazioni. Turbomach è un’azienda americana, senza contratto aziendale e nella quale non siamo presenti e quindi senza mandato per eventuali trattative. Se lo fossimo stati, mi sento di affermare che un piano sociale lo avremmo ottenuto. In passato abbiamo contrattato piani sociali con grosse aziende americane e i risultati sono stati molto soddisfacenti».

Pubblicato il

25.01.2013 17:50
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