Less ethics, more aesthethics (meno etica, più estetica)

Questo motto (di mia invenzione) è esattamente l’inverso di quello della Biennale d’architettura di Venezia di quattro anni fa. Allora la grande rassegna era stata organizzata dall’architetto italiano di successo Massimiliano Fuksas (si dice con tendenze di sinistra) ed invocava nella costruzione e nella trasformazione delle città maggiori contenuti etici, sottolineando in particolare le condizioni pessime di molte metropoli mondiali. Quest’anno è esattamente il contrario. Il direttore della mostra Kurt W. Forster, svizzero con forti inclinazioni americane, ha intitolato la Biennale “Metamorph” (cambiamenti) ed espone una montagna di progetti, in parte realizzati in parte no, la cui ambizione principale sembra essere quella di stupire, di creare grandi eventi visivi, di gridare sempre più forte al disopra del brusio architettonico generale della città-territorio. Via squadre e compassi, via angoli retti, proporzioni, sistemi modulari ordinati. Le forme degli edifici si incurvano, si attorcigliano, esplodono in organismi sempre più obliqui e complessi. Dappertutto enormi schegge, punte aguzze, piani inclinati, superfici sghembe. Tutto ciò è stato reso possibile anche dall’irruzione del computer sul tavolo degli architetti e degli ingegneri. L’ordinatore consente di rappresentare, di calcolare e di realizzare, in tempi brevissimi, costruzioni che ai tempi della riga, della squadra e della calcolatrice elettrica era appena possibile sognare, con qualche schizzetto, ai margini del foglio. Ora le proposte ed il consumo di forme sono diventati enormi, frastornanti e disorientanti, come se ci si trovasse dentro un grande supermercato dell’architettura dove colori, luccicori, barbagli ci avvolgono da ogni parte senza remissione. C’è anche un altro fatto. Questi edifici non sono in genere molto duraturi. Essi sopravvivono soprattutto grazie ad una manutenzione continua, ad apporti di energia straordinari, a strutture ed impianti che devono essere sorvegliati in permanenza, anche con apparecchiature automatiche, pena il sopraggiungere lento o improvviso di guasti costosi. E non parliamo dei problemi della pulizia. Era quasi inevitabile che in un simile panorama facessero la parte del leone due architetti americani attualmente all’apice del successo: Frank Gehry e Peter Eisenmann, che oscurano con la loro prominenza altre figure di sicuro interesse. Ciò che colpisce, in ogni caso, sono le ricorrenti sbandate a cento ottanta gradi delle ideologie architettoniche: quattro anni fa ci voleva più etica e meno estetica, oggi più estetica e meno etica. Per tutti coloro che non sono addentro alle metafisiche dispute della categoria diventa legittimo sbuffare : “Ma valli a capire ‘sti architetti”.

Pubblicato il

29.10.2004 12:30
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