Eternit bis

Per il miliardario svizzero ed ex padrone dell'Eternit Stephan Schmid­heiny si avvicina un ennesimo importante appuntamento con la giustizia (quella italiana naturalmente, essendo l'unica a occuparsi seriamente della tragedia dell'amianto...): il 13 dicembre prossimo a Roma la Corte Suprema di Cassazione deciderà sulle sorti del cosiddetto processo “Eternit bis” che lo vede imputato per la morte di 258 persone, uccise dall'amianto disperso negli ambienti di lavoro e di vita attraverso gli stabilimenti italiani dell'Eternit, sotto il suo controllo diretto tra la metà degli anni Settanta e il 1986.

Lui, come d'abitudine, non si farà vedere e attenderà la decisione su qualche spiaggia della Costa Rica o in una delle tante residenze dorate che possiede in Svizzera e in giro per il mondo. A Roma ci saranno invece le vittime e i loro familiari con le ormai celebri (in tutto il mondo) bandiere tricolori inneggianti alla giustizia. Una giustizia rincorsa da molti anni e che fatica a farsi strada, ma in cui è giusto continuare a credere. La decisione dei giudici della Cassazione nell'immediato non potrà in nessun caso soddisfare questo bisogno, ma potrà ravvivare la speranza che l'enorme e meticoloso lavoro d'indagine condotto per quindici anni dalla Procura di Torino (prima sotto la guida dell'ex procuratore Raffaele Guariniello e oggi del suo successore Gianfranco Colace) sfoci nella celebrazione di un processo per omicidio intenzionale. Un processo bruscamente bloccato dalla decisione del Giudice dell'udienza preliminare (Gup) del novembre 2016, che ha negato il rinvio a giudizio di Schmidheiny per questo grave reato derubricandolo a “omicidio colposo” e così prodotto, per ragioni di competenza territoriale, uno spezzettamento del procedimento in quattro differenti processi da tenersi a Torino, Reggio Emilia, Napoli e Vercelli, a dipendenza del luogo di residenza delle vittime. Una prospettiva che di fatto, per effetto della prescrizione e delle difficoltà oggettive delle piccole Procure a sostenere un'inchiesta di queste dimensioni, farebbe morire lo storico processo Eternit.
Di qui la decisione del procuratore di Torino Gianfranco Colace di impugnare la sentenza del Gup chiedendone l'annullamento alla Corte Suprema di Cassazione, la quale appunto si esprimerà il 13 dicembre. Al Gup si contesta in particolare l'«inosservanza di norme processuali e penali» e «una manifesta illogicità della motivazione» rispetto alla riqualificazione del reato. In parole povere: il Giudice dell'udienza preliminare ha travalicato i suoi poteri e, negando la presenza di dolo, ha valutato erroneamente il livello di consapevolezza dell'imputato, sostiene la Procura di Torino.


Schmidheiny, si legge nel ricorso, ha «perseguito in un’attività imprenditoriale palesemente illecita ...e quindi ben lontana da quella doverosa che avrebbe dovuto comportare una rapida dismissione della sostanza». Egli «aveva piena coscienza» degli effetti dell'amianto e della «elevata polverosità da asbesto dei suoi stabilimenti e del correlato rischio di esposizione e diffusione delle polveri stesse»; «l’illecito è proseguito in un arco temporale significativo e quindi vi era tutto il tempo per assumere i doverosi provvedimenti che non furono mai presi per ragioni meramente commerciali»; «il fine della condotta era di mero profitto»; «vi è compatibilità di tale scelta scellerata con i drammatici effetti collaterali verificatisi nel tempo e ancora in atto». E ancora: Schmidheiny ha continuato la sua attività «senza nulla investire in materia di prevenzione e sicurezza» e la sua condotta «è proseguita nel tempo» in «un contesto palesemente illecito», afferma Colace sottolineando come «il prevenuto» organizzava «una sistematica e reiterata campagna di vera e propria disinformazione per sminuire gli effetti dell’amianto, per “tenere a bada” l’opinione pubblica, per propalare notizie infondate falsamente rassicuranti». «Non vi è quindi dubbio alcuno» che agli occhi di Schmidheiny i «devastanti effetti collaterali» venissero «valutati come mero costo aziendale accettabile come corrispettivo del profitto».


Siamo insomma di fronte ad un atteggiamento «altamente doloso», a «coscienza e volontà» e non a un «atteggiamento di trascuratezza o indifferenza», cioè “colposo”, come sostiene il Gup. Basti del resto pensare al discorso che Schmidheiny tenne a Neuss (in Germania) nel 1976 nel'ambito di un convegno in cui riunì tutti i manager della multinazionale per organizzare una strategia di disinformazione con l’obiettivo di tranquillizzare i lavoratori e gli acquirenti dei prodotti Eternit e mantenere i livelli di redditività. Schmidheiny esordisce andando subito al punto centrale («l’argomento più urgente da trattare è rappresentato dai problemi concernenti i posti di lavoro delle fabbriche in cui ci sono polveri di amianto»), poi ammette che le malattie asbesto-correlate «sono ormai un fenomeno conosciuto da tempo», afferma «l’esigenza» di organizzare «una reazione difensiva» dai «notevoli mezzi messi in campo contro l’amianto», riconosce che sino a quel momento (siamo nel giugno 1976) non si è ancora proceduto (in quanto non «ritenuto necessario») ad investimenti in materia di sicurezza e tutela dell’ambiente di lavoro) e detta la linea politica del gruppo: dichiara innanzitutto la ferma volontà di continuare ad «essere» e di «potere e dovere convivere con questo problema», pur nel riconoscimento «che l’amianto-cemento può essere potenzialmente un materiale pericoloso, se non viene maneggiato in maniera corretta» e con l’impegno di «procedere alla lotta contro la polvere nelle aziende in modo naturale» eseguendo «i lavori necessari senza tanto scalpore, ma con energia», così evitando «forme di panico» ed evitando che i lavoratori potessero «rimanere scioccati» come accaduto per i direttori tecnici presenti al convegno. Convegno che peraltro conduce, pochi mesi dopo, alla redazione di un documento per “aiutare” i dirigenti locali a rispondere alle possibili contestazioni contro l’amianto da parte di operai, sindacalisti, giornalisti, vicini di stabilimento e clienti.


«Non vi era, quindi, alcuna colpevole ignoranza ma una piena e cosciente consapevolezza dei dati scientifici, delle cause e degli effetti», sintetizza il Procuratore di Torino Gianfranco Colace in coda al suo ricorso.
Ora non resta che attendere la decisione della Cassazione. Dovesse rigettare il ricorso, il procedimento seguirebbe la via indicata dal Gup nel novembre 2016: quattro processi distinti, con il Tribunale di Torino che si limiterebbe a giudicare i casi di due sole vittime. Dovesse invece accogliere le argomentazioni di Colace, tutto ricomincerebbe dal capoluogo piemontese con una nuova udienza preliminare in cui un giudice si dovrà esprimere nuovamente sulla richiesta di rinvio a giudizio per omicidio intenzionale.

Pubblicato il 

26.10.17

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