Le relazioni pericolose dell'Interpol

Negli ultimi anni l’organizzazione di polizia ha moltiplicato i partenariati dubbi con l’industria privata

Mercoledì 19 ottobre si terrà a Lugano una conferenza tematica di Interpol, l’organizzazione internazio-
nale dedita alla cooperazione di polizia e al contrasto del crimine internazionale. L’evento, organizzato in collaborazione con la polizia federale e quella cantonale, avrà come tema la tratta di esseri umani. Si tratta di un convegno per specialisti, il quarto di questo tipo sotto l’egida di Interpol. Di più non sappiamo: «Consideriamo prematuro rilasciare informazioni sull’evento» ci scrive l’addetto stampa della polizia ticinese. Prendiamo atto e approfittiamo della sua presenza sulle rive del Ceresio per approfondire meglio l’operato di Interpol, un’organizzazione che ultimamente si è distinta per alcune collaborazioni quanto meno discutibili.

Il paradosso va in scena il 3 giugno 2015. Siamo in pieno scandalo Fifa e nella lista dei ricercati di Interpol compaiono i nomi di due alti dirigenti della federazione calcistica: Jack Warner e Nicolas Leoz. I due sono ricercati su richiesta delle autorità americane per il giro di tangenti legate ai diritti tv delle partite. In questo contesto alcune testate ricordano come, nel 2011, Interpol abbia ricevuto 20 milioni di dollari dalla Fifa, nell’ambito di un programma per «proteggere lo sport, i giocatori e i tifosi dalla frode e dalla corruzione». Un partenariato che suscita clamore tanto che, qualche giorno dopo, il 12 giugno, l’organizzazione di polizia decide di sospendere il contratto: «Considerata la situazione attuale concernente la Fifa, e visto che Interpol resta determinata a proseguire il suo programma sull’integrità nello sport, ho deciso di sospendere l’accordo» dichiara il segretario generale Jürgen Stock.


Il partenariato con la Fifa è solo il più cospicuo di una lunga serie di contratti firmati negli ultimi anni da Interpol con entità private. Dal 2011, gli accordi di questo tipo sono stati almeno 25, per un totale di 58 milioni di euro. Per l’anno 2015, i contributi esterni hanno rappresentato il 29% del bilancio complessivo dell’organizzazione. Finanziamenti che Interpol giustifica con la riduzione dei contributi degli Stati e con le nuove esigenze budgetarie per «lottare contro la criminalità», ma che da più parti hanno sollevato preoccupazioni.


Rispondendo ad un’interrogazione del deputato Rino Büchel, il Consiglio federale ha evidenziato come tali donazioni private non sono esenti da problemi: «Il rischio è infatti che possano avvantaggiare i finanziatori nell’aggiudicazione di mandati o influenzare le attività di Interpol». In effetti, una volta resi noti dalla stampa, questi partenariati con i privati hanno fatto emergere una pletora di conflitti d’interesse.


Rimaniamo nel mondo del calcio: come rilevato dal sito d’inchiesta francese Mediapart, nel 2012, il Comitato d’organizzazione della Coppa del mondo 2022 in Qatar – al centro anch’esso di scandali per corruzione – ha versato 10 milioni di dollari a Interpol. In un libro inchiesta che descrive l’opacità della Fifa, il giornalista tedesco Thomas Kistner svela come alcuni ex quadri dell’organizzazione di polizia abbiano ottenuto ruoli di peso in seno alla federazione calcistica o in Qatar. Ralf Mutschke, nominato capo sicurezza della Fifa nel 2012, è un ex direttore dei servizi di Interpol. Ha preso il posto di Chris Eaton, anch’egli ex Interpol, partito a Doha come esperto in sicurezza e integrità nello sport. Poi vi è il caso di  Michael J. Garcia, ex membro del comitato esecutivo di Interpol, nominato alla testa della commissione etica della Fifa, un organo “indipendente” incaricato di indagare sull’attribuzione del Mondiale al... Qatar.


Connessioni fumose
Un altro settore dove il conflitto d’interesse è lampante è quello del tabacco. Nel 2012 Interpol ha ricevuto un assegno di 15 milioni di euro, spalmati su tre anni, da parte della Philip Morris. Il motivo: contribuire alla lotta contro il traffico di sigarette. Un finanziamento che ha fatto drizzare i capelli agli esperti del commercio illegale di tabacco, i quali ricordano come per decenni l’industria ha alimentato il contrabbando, in stretta collaborazione con le organizzazioni criminali: «Fino a vent’anni fa quasi tutta l’industria del tabacco era coinvolta direttamente; miliardi di sigarette, esportate ufficialmente  come articolo Dnp (dazio non pagato), finivano nel circuito illegale europeo» spiega ad area Luk Joossens, uno specialista belga che, come altri, ha fortemente criticato questo partenariato.


Erano gli anni della Montenegro Connection: migliaia di camion di sigarette prodotte in Svizzera o Olanda percorrevano il continente e raggiungevano il Montenegro da dove, con la complicità del governo locale, rientravano sul mercato nero europeo. Un traffico gestito dalle reti criminali italiane e balcaniche, con la complicità tutta ticinese di intermediari, società di facciata e banche della piazza di Lugano. Intermediari che collaboravano direttamente con le multinazionali, interessate ad aggirare le tasse dell’Unione europea. Presa con le mani nel sacco e accusata di complicità in contrabbando, nel 2004 la Philip Morris si è accordata con l’Ue: ogni responsabilità legale è stata cancellata in cambio del versamento di 1 miliardo di euro e con l’impegno  a tracciare meglio i propri prodotti e a finanziare la lotta contro il contrabbando.


Successivamente un gruppo di quattro multinazionali del tabacco, guidato da Philip Morris, ha sviluppato un proprio sistema di tracciabilità, denominato Codentify. Con questa tecnologia, l’industria intende controllare direttamente la tracciabilità dei suoi prodotti. In ballo vi sono milioni di euro: entro il 2017 gli Stati dell’Ue dovranno scegliere quale sistema di tracciabilità adottare. Oltre al sistema promosso dall’industria ve n’è un altro sviluppato dall’azienda svizzera Sipca. Per ora non è ancora stata presa una decisione. Fatto sta che, poco dopo avere incassato l’assegno di Philip Morris, Interpol ha scelto da che parte stare: con Codentify, naturalmente.


Per Luk Joossens «è inaccettabile che un organismo di polizia collabori con delle società così implicate in questo commercio o già sospettate in passato di contrabbando». Un conflitto d’interesse che non è solo l’espressione di qualche  critico: l’Organizzazione mondiale della sanità ha respinto a due riprese la richiesta di Interpol di partecipare, come membro osservatore, alla Convenzione quadro anti-tabacco. La ragione: «le inquietudini sull’influenza che potrebbero avere le fonti di finanziamento sulla politica e l’indipendenza operativa di Interpol».


Il sostegno della pharma
Un altro ramo con il quale l’Interpol ha siglato partenariati milionari è quello farmaceutico. Nel novembre del 2011, Ronald K. Noble, l’allora segretario generale e principale fautore di questa politica dei partenariati privati, è in visita a Madrid. L’appuntamento è con i membri del Dolder Group, una sconosciuta associazione che raggruppa i direttori generali di 29 multinazionali farmaceutiche, tra cui Novartis e Roche. Un anno e mezzo dopo verrà poi reso noto il motivo della visita: la firma di un accordo da 4,5 milioni di euro per un programma sulla “criminalità farmaceutica”.


Anche in questo caso il partenariato ha suscitato perplessità. Il nocciolo della questione è quello dell’accesso ai medicamenti generici, contro il quale le multinazionali intraprendono cause giudiziarie milionarie, soprattutto nei paesi del Sud. Alcuni esperti temono che una definizione troppo stretta dei “medicamenti contraffatti” inglobi anche i medicamenti generici. Patrick Durisch, dell’Ong Public Eye, ci spiega che «se da un lato è positivo il contrasto ai falsi medicamenti, dall’altro,  anziché agire nell’interesse della salute pubblica, con questo partenariato Interpol potrebbe intervenire in favore di interessi privati e limitare il commercio dei farmaci generici».


Sui rischi creati da queste donazioni, spesso concluse con il solo avallo del comitato esecutivo, si sono accorti anche gli attori istituzionali. Alcuni Stati membri hanno messo in evidenza questa preoccupazione e promosso dei cambiamenti. La Svizzera è stata tra i primi paesi a muoversi, sottolineando durante l’Assemblea generale 2011 le proprie perplessità sul partenariato con la Fifa. Come spiegato dal Consiglio federale, la Confederazione ha più volte chiesto a Interpol «di vigilare affinché le donazioni private fossero compatibili con gli obiettivi e le attività di Interpol, di salvaguardare l’indipendenza dell’organizzazione e di garantire maggiore trasparenza in materia di donazioni». In questo senso, con l’aiuto di altri Stati, è stato creato un gruppo di lavoro che ha riformulato le condizioni-quadro per le donazioni esterne e migliorato i meccanismi di controllo.

 

Questi principi, fissati in una riunione del gruppo di lavoro tenutasi a Berna nel 2013, sono stati integrati sotto forma di disposizioni specifiche nel regolamento finanziario dell’organizzazione. Nel 2014, l’ex coordinatore del gruppo, il tedesco Stock, è stato eletto a sorpresa segretario generale dell’organizzazione. Ex vice-presidente della polizia criminale tedesca, Stock ha fatto della trasparenza il proprio cavallo di battaglia elettorale, promettendo una conduzione in netta contrapposizione con quella del suo predecessore, l’americano Noble.


È presto per valutare l’impatto della nuova leadership. Certo è che non abbiamo finito di elencare le scelte inopportune dell’organizzazione presto in visita a Lugano. Nel febbraio 2015, la stampa romanda ha rivelato l’esistenza di una fondazione di Interpol basata a Ginevra, il cui scopo è «la promozione della cooperazione internazionale contro il crimine». Siamo in pieno scandalo Swissleaks quando si viene a sapere che la fondazione ha come membro il direttore di... Hsbc. Già, proprio la banca che, sempre a Ginevra, accoglieva i soldi di narcotrafficanti e terroristi. Alcuni dei quali, ironia della sorte, sono iscritti sulla lista dei ricercati di Interpol. 

Pubblicato il

06.10.2016 15:50
Federico Franchini
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