Per una felice coincidenza, l'edizione 2011 del Festival del film di Locarno ha presentato al pubblico due film che trattano di temi legati alla migrazione: Vol spécial, del regista svizzero Fernand Melgar, e Miracolo a Le Havre, di Aki Kaurismaki, regista finlandese ormai "di culto". Entrambi i film sono stati poi riproposti in occasioni successive, inseriti in cicli che ponevano quei temi al centro di una formula in uso alcuni decenni fa, e non peregrinamente oggi rilanciata, quella della proiezione cinematografica seguita da discussione con gli spettatori.  Una bella iniziativa, che ha mostrato un crescente interesse a un dibattito informato su temi che più di altri patiscono approssimazione e ricostruzioni parziali e tendenziose. Un dibattito favorito indubbiamente dalla natura stessa del "canale" informativo, quello filmico, che più di altri stimola una partecipazione più coinvolta alle vicende narrate.
Vol spécial è un documentario che riporta una situazione reale, senza elementi di finzione, ed è stato accompagnato a Locarno da polemiche legate a una supposta non chiara "dichiarazione di campo" da parte del regista, che non avrebbe sufficientemente esplicitato la netta condanna dei carcerieri del carcere speciale di Framboise, destinato ai richiedenti l'asilo in attesa di essere espulsi dalla Svizzera, cornice nella quale si svolge (claustrofobica- mente) tutto il film.
Il secondo è invece un film di finzione, dichiaratamente legato a una dimensione fantastica evocata dalla stessa traduzione italiana del titolo (in originale semplicemente Le Havre), che a sua volta richiama esplicitamente  il Miracolo a Milano di Vittorio de Sica. Anche lì, come nel film finlandese, vi è un ragazzo in viaggio verso un paese immaginario: nella versione moderna, un viaggio che ha come punto di partenza l'Africa, e come luogo del desiderio l'Inghilterra, dove il ragazzo potrà ricongiungersi con la madre. Un viaggio che ha una chiave di volta nell'incontro del ragazzo, clandestino nella città portuale, con un mite e umile lustrascarpe (mestiere forse non casuale, in un film irrealista e con continui richiami al realismo italiano: come non pensare ai Sciuscià, sempre in De Sica?) e con i suoi generosi e solidali amici, rappresentanti di una umanità marginale, solidale con gli altri perché essa stessa esiliata.
C'è una scena, nel film, che forse ne riassume lo spirito e che potrebbe spingere molti di noi a qualche riflessione, ed è quando il lustrascarpe, che si chiama Marx (in un trasparente omaggio al cinema, oltre che al padre del socialismo mondiale) evoca il Discorso della montagna di Gesù. Cristo, e Marx: in un richiamo commovente, e poeticamente perfetto, alle due declinazioni possibili della solidarietà e della fratellanza della nostra storia passata e, speriamo, futura.

Pubblicato il 

20.04.12

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