Mondo del lavoro

Studio scientifico o carta straccia? Ha sollevato il classico polverone il rapporto dell’Istituto di ricerche economiche (Ire) dell’Università della Svizzera italiana sull’impatto nel mercato del lavoro cantonale da quando sono entrati in vigore gli accordi bilaterali. In sintesi lo studio afferma che non ci sia stato un impatto sull’occupazione cantonale. Sui salari e condizioni d’impiego, nessun accenno.

Lo studio Ire? Bocciato dalla metà dei suoi committenti. Un pregio indubbio però lo studio l’ha avuto, quello di unire i rappresentanti di tutti i partiti da destra a sinistra, del mondo imprenditoriale e sindacale cantonale, nel nutrire forti perplessità, per usare un eufemismo, sulla qualità dello studio. E di scatenare un’ondata d’ironia e rabbia nella rete internet. La relazione finale dello studio costato 50.000 franchi (equamente divisi tra Cantone e Segreteria di Stato dell’economia, Seco) e due anni di tempo (invece di uno previsto), è stata presentata lunedì all’Ufficio presidenziale del Gran Consiglio (che comprende anche i capigruppo dei partiti) e i due consiglieri di stato Manuele Bertoli e Christian Vitta. Da una parte gli autori dello studio dell’Ire e la Seco che giudicavano il rapporto definitivo (“Schlussbericht” è il titolo del file), dall’altra politici e rappresentanti del mondo imprenditoriale e sindacale che lo giudicava nettamente insufficiente.


A chiedere un’analisi sulla situazione del mercato del lavoro cantonale era stato il Canton Ticino, in reazione ai rapporti annuali della Seco che valutavano l’impatto dei bilaterali positivo sul piano nazionale senza mai addentrarsi nella particolare realtà cantonale. Seco e Cantone avevano dunque deciso di affidare il compito all’Ire, il cui mandato era chiaro: valutare la pressione salariale e l’effetto sostituzione nel mondo del lavoro cantonale da quando sono in vigore gli accordi bilaterali.
L’Ire ha impiegato due anni per realizzare lo studio, escludendo in corso d’opera, di comune accordo con la Seco, la valutazione dell’impatto sui salari. Una scelta piuttosto singolare e fortemente criticata in Ticino. Lo stipendio è l’unità di riferimento principe della forza lavoro. È uno dei parametri imprescindibili per capire dove stia andando il mondo del lavoro. Usando una metafora sportiva, lo studio Ire parla della qualità dell’erba di un campo di calcio su cui si è svolta una partita, senza dire nulla del risultato.


Eppure inizialmente lo studio avrebbe dovuto occuparsi dei salari. Lo scrive la stessa Seco nel suo rapporto pubblicato nel luglio 2014: «Il Seco ha incaricato l’Osservatorio dell’Università di Lugano di esaminare la situazione in Ticino. In particolare, lo studio deve focalizzarsi sull’incidenza della libera circolazione delle persone sui salari e sull’impiego nel Cantone Ticino». Poiché lo studio era stato annunciato dalla Seco per la fine del 2014, area aveva contattato l’Ire la scorsa primavera per sapere a che punto fosse. La risposta fu che il ritardo era dovuto a imprecisati problemi con le cifre della Rilevazione della struttura dei salari in Svizzera. Dunque i salari erano oggetto dello studio, ma poi se ne sono perse le tracce nel seguito. Il perché rimane un mistero.


Gli autori nel rapporto scrivono che «il potenziale impatto dei lavoratori frontalieri sull'evoluzione delle retribuzioni era già stato analizzato a livello regionale nell’11° rapporto pubblicato dalla Seco». Vero, ma solo in minima parte. La Seco riconosceva il rischio dumping in Ticino, constatando una crescita del divario fra gli stipendi dei frontalieri e quelli dei residenti. Ma quello è solo un minimo aspetto dell’evoluzione salariale nel cantone.


In molti si aspettavano uno studio approfondito dell’Ire sul tema, visti i due anni e i mezzi a disposizione. A titolo di paragone, analisi ben più approfondite di quelle della Seco sono state quelle dell’Ufficio di statistica cantonale (Ustat). L’articolo pubblicato sulla rivista Dati di maggio «Il salario non è più di moda, una proposta di lettura dell’ultima rilevazione della struttura dei salari» evidenziava diversi aspetti dei cambiamenti in corso in Ticino nel mercato del lavoro. Si annotava come i salari bassi diventano sempre più bassi, come il divario delle paghe col resto del paese aumenti, in che modo le donne siano ulteriormente penalizzate e molti altri cambiamenti preoccupanti in corso nel cantone.


Non va neppure dimenticato lo studio promosso dall’Unione sindacale ticinese pubblicato in giugno che sottolineava gli stessi fenomeni dell’Ustat, aggiungendo al contempo altri aspetti molto inquietanti sullo stato di salute del mercato cantonale (si veda negli articoli correlati).


Va sottolineato che le analisi dell’Ustat e Uss-Ticino sono state realizzate con mezzi e tempi nettamente inferiori a quelli a disposizione dell’Ire per il suo studio.
Da noi contattato, la Seco non vuole esprimersi, definendo il documento non ancora pubblico e scarica al Canton Ticino la responsabilità di interpretarne i risultati. Fatto già avvenuto ed evidentemente sfuggito a Berna. La Seco conferma di aver co-finanziato lo studio e di averne supervisionato scientificamente i risultati.
Visti i molti fischi e i rarissimi applausi ottenuti dal rapporto dell’Ire, le parti hanno convenuto di sospenderne la pubblicazione per eseguire nuovi approfondimenti. Un duro colpo alla credibilità dell’Ire, e per esteso, del mondo accademico dell’Università della Svizzera italiana di cui l’Istituto fa parte.


La speranza condivisa è che i tempi siano più brevi della versione definitiva bocciata. Altro auspicio è che non lievitino le spese col supplemento di studio richiesto, visto che si tratta solo di onorare il mandato. E poiché di soldi pubblici si parla e d’interesse particolarmente generale visto il delicato tema del lavoro nel cantone, area pubblica lo studio integralmente sul nostro sito online.

Pubblicato il 

22.10.15