Di una cosa è sicura la vicepresidente uscente del Pss Christine Goll. La crescente polarizzazione in seno al Consiglio federale renderà «molto duro» il lavoro dei due ministri socialisti. «In parlamento noi sappiamo bene cosa dovremo fare. Se il governo perseguirà una politica di destra, il compito delle forze di sinistra sarà quello di resistere, resistere contro la politica delle casse vuote, contro lo smantellamento sociale della Svizzera. In questo senso l’elezione ha avuto almeno il merito di chiarire le cose» commenta Christine Goll, raggiunta telefonicamente a Palazzo federale al termine della seduta dell’Assemblea. La vicepresidente uscnte del Pss considera assurda la concezione della solidarietà espressa mercoledì da Hans-Rudolf Merz con la metafora dell’aereo («su di un aereo gli adulti sono i primi a mettersi la maschera in modo da potersi poi occupare dei bambini»): «È la distruzione del concetto di solidarietà – osserva Christine Goll –. La solidarietà si esprime innanzi tutto attraverso uno Stato forte che sostiene le persone sfavorite, non attraverso dei ricchi che fanno la carità ai più deboli». Il nuovo Consiglio federale è «chiaramente di destra» secondo Franco Cavalli. Il consigliere nazionale socialista nota con ironia che nella «banda dei quattro (i due ministri del Plr e i due dell’Udc, ndr) il più moderato è Pascal Couchepin». «È una giornata nera per tutto il paese, per i pensionati, per le donne, per le regioni periferiche sconfitte dagli esponenti degli interessi economico-finanziari zurighesi» dice Franco Cavalli. Gli spazi per i compromessi, a questo punto, si restringono. Anzi, «non ci sono più»: «Chi vuol stare dalla parte dei meno abbienti ha solo la possibilità dell’opposizione. Quale forma dovrà assumere quest’opposizione è presto per dirlo, ma le opzioni sono due: o noi riusciamo a fare come l’Udc (pur essendo al governo giocare a fondo il ruolo di opposizione sociale), oppure uscire dal governo» ragiona Cavalli intravedendo nel nuovo Consiglio federale una minima disponibilità al compromesso che si tradurrà in una politica «masoniana al quadrato» destinata a portare «molta gente a protestare davanti a Palazzo federale». La sconfitta del Ppd è per Cavalli in buona parte determinata dagli errori dei democristiani stessi, errori che daranno luogo in un prossimo futuro a «gravi problemi interni»: «È l’ala destra del Ppd che ha fregato il Ppd, quella fetta di partito che è ormai parte – unitamente a Udc e Plr – di un blocco compatto dominato dagli interessi del gran capitale di Zurigo. Per il Ppd la sconfitta odierna potrebbe essere l’inizio della fine» afferma il consigliere nazionale socialista che pronostica tempi grami anche per quei radicali («Dick Marty, forse Laura Sadis e due o tre romandi») restii a seguire una linea politica «dettata dall’Udc». Anche il deputato Pss Fabio Pedrina intravede nell’elezione di mercoledì una dimostrazione di forza di économiesuisse, i cui interessi hanno ormai penetrato decisamente il Consiglio federale. Questo governo sarà presto chiamato ad affrontare tests importanti (votazioni su “Avanti” e sul pacchetto di sgravi fiscali federali, eccetera) che implicheranno nel contempo «nuove sfide anche per i socialisti e per tutte le forze politiche e sindacali di sinistra» rileva Fabio Pedrina. L’elezione di due consiglieri federali che hanno già varcato la soglia dei 60 non è un semplice dato anagrafico per il deputato socialista: Blocher e Merz («uno psicologo fisionomista ravvederebbe dei tratti comuni nella loro espressione» nota Pedrina) sono infatti «due simboli di restaurazione». «Il risultato delle elezioni del Consiglio federale? Un disastro» chiosa dal canto suo Anna Biscossa, presidente della sezione ticinese del Partito socialista. «Un disastro – prosegue Biscossa – che cambia la Svizzera e che apre una stagione di conflittualità sociale senza precedenti, che mette a rischio i diritti dei più deboli di questo paese. Si decreta la fine di uno Stato di diritto a favore di uno stato caritatevole – così come propone Hans-Rudolf Merz – che vedrà le regioni periferiche, le minoranze linguistiche, le donne, gli anziani, i disoccupati, gli invalidi e i giovani pagare le conseguenze di queste scelte di governo». «Temo si prospettino anche per l’economia tempi difficili visto che il nostro Paese non è fatto strutturalmente per convivere con la conflittualità sociale, che si prospetta sempre più accesa» rileva Anna Biscossa. Per la presidente della sezione ticinese del Pss «il centro politico – destinato, se non a scomparire, a ridimensionarsi ulteriormente – si sta suicidando con le proprie mani». «Credo che noi socialisti – conclude Biscossa – dovremo darci un tempo massimo entro cui riflettere e valutare l'operato del Consiglio federale ed eventualmente chiederci fino in fondo se avrà ancora un senso restare in Governo». Vasco Pedrina, presidente nazionale del Sindacato edilizia e industria (Sei), come commenta l’elezione di mercoledì del Consiglio federale? Sulla Svizzera è calato l’inverno sociale, culturale e politico. Si conferma quello che temevamo, cioè che avremo un governo che, con i due radicali e i rappresentanti dell'Udc, seguirà un programma chiaramente di destra. Il nuovo Consiglio federale proseguirà con ancora più determinazione e compattezza l’attacco alla socialità, darà una nuova spinta alle privatizzazioni e, non meno preoccupante, sarà molto più freddo in materia d'immigrazione e d'asilo. Quale sarà adesso il ruolo dei sindacati e, in particolare, del Sei? Sarà ancora più importante che in passato, come conferma la risoluzione dell'Assemblea dei delegati del Sei di due settimane fa (cfr. area n. 49 del 5 dicembre, pag. 5). Siamo chiamati alla riscossa, e questo ci impone di aumentare gli sforzi per rafforzare il movimento sindacale. In questo senso i compagni ticinesi, con azioni esemplari come quella del 3 dicembre, ci indicano la strada. Il Consiglio federale deve sapere che dovrà sempre fare i conti con la nostra capacità referendaria. E per il Partito socialista svizzero (Pss) che scenari si aprono? Magari l’uscita dal governo? Per il Pss rimanere al governo con una maggioranza così chiaramente spostata a destra sarà molto più difficile che in passato. Un’eventuale uscita dal governo non si può improvvisare, e ora non ne sono date le condizioni: non dev’essere decisa in maniera astratta, ma in relazione a fatti concreti, ad esempio dopo delle decisioni che dovessero pesantemente penalizzare i salariati. Max Weber in questo senso agì correttamente: se ne andò quando i partiti borghesi gli imposero una politica finanziaria per lui intollerabile. Quello che si è visto in azione il 10 dicembre non è un parlamento spostato ancora più a destra di quanto si temesse? No, l’esito del voto era prevedibile. C’era una parte della sinistra che, dato l’aumento di seggi del fronte rosso-verde, ipotizzava uno spostamento a sinistra, ma non faceva i conti con la realtà. E la realtà è che le elezioni del 19 ottobre hanno portato non solo alla crescita dell’Udc, ma anche alla sostituzione in parecchi cantoni di deputati radicali e democristiani più moderati con esponenti chiaramente profilati a destra. Il Ticino ha costituito un’eccezione in questo panorama nazionale complessivo, forse è per questo che non si è avuta la percezione del reale spostamento avvenuto verso destra a livello federale. Non le fa paura il sempre più palese asservimento del Partito liberale radicale all’Udc? Sì, e molta. Questo ci obbligherà a tutta una serie di battaglie difensive. Ma queste battaglie possono anche costituire una chance per scuotere i salariati e la sinistra. Sui temi concreti della politica (assicurazioni sociali, scuola, lavoro ecc…) i cittadini la pensano come noi, non come Blocher e Merz. A questi signori possiamo garantire già oggi che avranno molta difficoltà a far passare il loro programma. Sulla stessa lunghezza d’onda è il commento di Renzo Ambrosetti, presidente nazionale del sindacato Flmo. Ambrosetti, che futuro attende la Svizzera e i sindacati? Per la Svizzera sono preoccupato. Noi dovremo essere ancora più vigilanti che in passato, soprattutto in campo economico e sociale. E dovremo ricorrere molto più che in passato alla piazza e ai referendum. L’ottima riuscita della raccolta di firme contro l’undicesima revisione dell'Avs è stata una valida prova generale. Certo, bisogna ancora vincere la battaglia delle urne, ma abbiamo comunque dimostrato di avere una grossa capacità di mobilitazione. A questo punto cosa deve fare il Pss? Non deve assolutamente uscire dal governo. Farlo in una situazione come questa sarebbe irresponsabile. Malgrado tutto, anche in una posizione chiaramente minoritaria, con due consiglieri federali si può comunque esercitare un certo influsso sul collegio governativo e si ha accesso a molte informazioni. Ma questa è una valutazione che posso fare oggi. Certo, se in futuro si abbandonasse del tutto il sistema di concordanza e si andasse di fatto verso un sistema maggioritario bipolare con il Pss in posizione sempre subalterna, allora sarebbe giustificato chiedersi se il Pss non debba uscire dall'esecutivo. Vista la situazione non s’impone una più stretta collaborazione fra i sindacati dell’Uss e il Pss, con magari la definizione di un programma minimo di resistenza a questa nuova maggioranza? È vero, su alcuni temi possiamo e dobbiamo avvicinare maggiormente le nostre posizioni per essere più forti nelle battaglie specifiche che dovremo condurre assieme. Ma sindacati e Pss devono mantenere la specificità dei loro rispettivi ruoli, non devono appiattirsi l'uno sulle posizioni dell'altro. In questo senso ci vorranno in futuro anche degli spazi per delle divergenze d’opinione.

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12.12.03

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