Si tende a credere che la tortura sia una pratica ormai relegata al Medioevo. O che oggi sia uno strumento ad uso esclusivo delle dittature. Purtroppo si tratta invece di un fenomeno molto diffuso, ovunque sul pianeta, che non appartiene al passato. Al contrario, questa pratica prospera: casi di tortura sono stati registrati in 141 paesi negli ultimi 5 anni. Una cifra impressionante.


Dagli attentati dell’11 settembre 2011 e con la guerra contro il terrorismo che è seguita, la tortura viene difesa dagli Usa, che ne fanno ampio uso, e presentata come una pratica accettabile da numerosi media, ad esempio nelle serie televisive. Tecniche quali il “waterboarding” (simulazione dell’annegamento) sono diventate ammissibili agli occhi del grande pubblico. Stando a un sondaggio condotto quest’anno in 21 paesi, un terzo della popolazione mondiale ritiene che il ricorso a tecniche di interrogatorio violente sia legittimo, se permette di salvare delle vite.


Maltrattare una persona per estorcerle delle informazioni può, a volte, portarla a parlare. Ma quando l’interrogato parla spesso è perché sarebbe pronto a dire qualsiasi cosa pur di mettere fine al dolore: tutta la verità, una parte o il suo contrario. «Potete far dire qualsiasi cosa a chiunque, ma non potete fare alcun affidamento su quanto viene detto» ha dichiarato Mike Baker, ex agente della Cia. La tortura è inefficace, spregevole e immorale, quali che siano le circostanze.


La Convenzione contro la tortura è stata adottata trent’anni or sono. Una tappa essenziale nella lotta contro questa piaga. La convenzione prevede delle misure iscritte nella legge e pensate proprio per impedire la tortura, punirne gli autori e garantire giustizia e riparazione alle vittime. Sono però numerosi i paesi che, pur avendo sottoscritto questo testo, non rispettano i propri obblighi.


Amnesty International aveva fatto campagna per la creazione di questa convenzione. Oggi lanciamo una nuova campagna internazionale, intitolata “Stop tortura”, affinché sia finalmente messa in atto. Gli Stati devono creare meccanismi efficaci per garantire la protezione dalla tortura: tenere il registro degli arresti, garantire ai detenuti l’accesso alla propria famiglia e a un avvocato, registrare gli interrogatori e permettere a commissioni di sorveglianza indipendenti di accedere, in qualsiasi momento, a qualsiasi cella. Misure semplici che permettono di ridurre drasticamente i casi di tortura nei paesi dove sono già applicate.

 

Ma questo non basta: è necessario perseguire i torturatori e quindi iscrivere il divieto della tortura nel codice penale, cosa che la Svizzera non ha ancora fatto. Questo quando militari stranieri responsabili di atti di tortura nel proprio paese scelgono proprio la Svizzera come destinazione dove trascorrere la pensione. Il nostro paese deve dare l’esempio condannando esplicitamente qualsiasi atto di tortura e traducendo i torturatori davanti alla giustizia.

Pubblicato il 

22.05.14
Nessun articolo correlato