«La speculazione è sistemica»

Il Professor Sergio Rossi commenta i fallimenti di Greensill e Archegos che stanno scuotendo il mondo bancario, Credit Suisse in primis

Greensill e Archegos, due fallimenti pesanti nel mondo finanziario che attestano quanto il sistema sia ancora malato di profitto speculativo generato sul nulla. A farne le spese, questa volta è Credit Suisse.
Greensill, azienda anglo-australiana, ha costruito il suo profitto sull’impacchettamento dei crediti da lei posseduta rivendendoli sui mercati. Quei crediti erano costituiti dalle fatture ai fornitori pagate anticipatamente da Greensill per conto dei clienti, prima dello scadere della fatturazione. Assemblava poi quei crediti, le diverse fatture anticipate, per rivenderle sul mercato. Se vi ricordano i famigerati subprime dei mutui americani all’origine della grande crisi finanziaria del 2007, avete indovinato.

 

Come allora, dietro questi affari speculativi, ci sono le banche. Allora fu l’americana Lehman Brothers a fallire, mentre in questo caso è il Credit Suisse ad averne pagato il tributo maggiore, avendo investito ben 10 miliardi di dollari nei pacchetti Greensill. Quando il gioco finanziario si è rotto perché un’assicurazione si era rifiutata di garantire quei debiti, Greensill è fallita e l’istituto elvetico ha iniziato a disfarsi degli ingombranti crediti. Ma ormai era tardi e il danno ammonta a svariati miliardi.


Poche settimane dopo, a dichiararsi insolvente è il fondo americano Archegos, guidato dallo spregiudicato finanziere Bill Hwang, già condannato nel 2012 a 60 milioni di multa per uso illegale d’informazioni riservate. Ciò non ha impedito a Credit Suisse di prestargli soldi (4 miliardi) per acquistare dei titoli su cui speculare. Ma i titoli azionari sono dei valori effimeri, e quando hanno iniziato a scendere troppo, le banche rivolevano indietro i soldi prestati ad Archegos. Pare esistesse un patto tra le banche per vendere i titoli lentamente, in modo da non far crollare rapidamente il loro valore, ma il patto è stato rotto e Credit Suisse è rimasta col cerino in mano, perdendo così quattro miliardi e subendo di riflesso la perdita del 17% del valore delle sue azioni. Due notizie che hanno riacceso i riflettori sul sistema speculativo finanziario, il ruolo delle banche e dei loro manager strapagati.


Ad infiammare ulteriormente la discussione, un tweet di Marc Possa, un gestore elvetico di fondi di piccole società, rispettato nell’ambiente. Il 18 marzo Possa scrive: “Negli ultimi 19 anni Credit Suisse ha versato compensi per 239 miliardi di franchi ai suoi dipendenti (manager e bonus compresi) a fronte di 41 miliardi di utili netti. Nello stesso periodo, il titolo bancario ha perso l’82% del suo valore”. Intervistato dal portale Cash, Possa precisa: «Queste persone sono intoccabili. Non c’è nemmeno un azionista di riferimento che possa disciplinarli o rimproverarli. È una grande lacuna dell’industria finanziaria in generale. Ciò spiega anche gli eccessi salariali». Secondo Possa, a rendere intoccabile questa «casta di manager egoisti» in Svizzera è il sostegno politico e statale di cui godono.

 

Per meglio comprendere i fatti, area ha intervistato il professore di macroeconomia e di economia monetaria all’Università di Friburgo, Sergio Rossi.

Da Greensill e Archegos, Professor Rossi, quali lezioni possiamo trarre?
Si tratta di due casi esemplari del fatto che le principali banche di affari non hanno cambiato affatto il paradigma dominante nella finanza di mercato, ossia la volontà di massimizzare i rendimenti nel più breve tempo possibile tramite attività speculative e strumenti finanziari molto opachi. La presa di rischio di queste istituzioni finanziarie spinge altri attori nei mercati finanziari a comportarsi in maniera simile supponendo che le grandi banche dispongano degli strumenti necessari per capire fino a che punto spingersi nel grande casinò della finanza globale. Le banche di dimensioni minori e le istituzioni finanziarie non-bancarie, come le assicurazioni e le casse pensioni, credono allora di poter imitare le grandi banche e adottano perciò delle strategie di investimento analoghe, speculando sul fatto che i profitti sono privatizzati mentre le perdite saranno poste sulle spalle della collettività in un modo o nell’altro. Infatti, più grande è la banca, maggiori sono le possibilità per i suoi dirigenti di privatizzare i profitti e socializzare le perdite che si registrano nelle sue attività finanziarie. I recenti casi legati a Greensill e Archegos rappresentano solo la punta dell’iceberg verso il quale il grande Titanic della finanza globale sta dirigendosi a velocità folle.


Degli analisti evocano l’effetto domino, ossia che altri istituti finanziari possano subire grandi perdite. Siamo di fronte allo scoppio della grande bolla speculativa o è solo rinviata?
Ormai la finanza di mercato passa da una bolla all’altra, in una dinamica che assomiglia alle famose montagne russe. Le dimensioni di questo ottovolante sono state amplificate con il passare del tempo, dagli anni Ottanta del secolo scorso innanzi. La globalizzazione delle attività economiche e la liberalizzazione delle attività finanziarie su scala mondiale hanno permesso agli attori in questi mercati di ingigantire i loro bilanci diversificando le loro attività con un unico obiettivo: realizzare dei profitti stravaganti a breve termine ma senza alcun legame con il loro “core business”, spesso in difficoltà e perciò incapace di generare dei profitti in grado di soddisfare la voracità dei principali portatori di interesse (i dirigenti e gli azionisti di riferimento). Anche dopo lo scoppio della bolla legata ai mutui “subprime” negli Stati Uniti, che ha fatto da detonatore della crisi finanziaria e della crisi economica sul piano globale, la maggior parte delle istituzioni finanziarie ha continuato a svolgere attività speculative, aggirando in vario modo le regolamentazioni che sono state introdotte alla fine del decennio scorso in modo troppo blando e lacunoso per garantire la necessaria stabilità finanziaria all’insieme del sistema economico ormai succube della finanza di mercato.


Quali considerazioni le suggeriscono le differenze tra compensi e utili riassunte dal finanziere Marc Possa?
Condivido completamente le osservazioni critiche di Possa, che resteranno una lettera morta sia nell’ambito del sistema finanziario sia sul piano politico perché non esistono le reali volontà di cambiare rotta da parte dei dirigenti delle grandi banche né da parte dei politici al governo a livello federale. La classe politica è succube delle istituzioni finanziarie che dettano le scelte anche alle imprese nell’economia reale, orientandole alla presa di rischio nei mercati finanziari per ottenere i rendimenti che altrimenti non sarebbero in grado di guadagnare tramite la vendita dei loro prodotti nel mercato dei beni e dei servizi, vista la carenza di domanda in questo mercato a seguito del calo dei livelli salariali della maggior parte dei lavoratori. Con l’avida complicità dei membri del consiglio di amministrazione, i dirigenti delle grandi banche si accaparrano in ogni caso dei compensi esorbitanti e senza alcun legame con gli utili ottenuti dalla loro istituzione finanziaria. Si tratta di un sistema di compensi che non ha nulla da spartire con i pretesi criteri della meritocrazia, come lo osserviamo da quando è scoppiata la crisi nel 2008: nonostante le perdite registrate dalle grandi banche, i loro dirigenti hanno continuato a guadagnare ben al di là dei loro pretesi meriti.                                      

Pubblicato il

31.03.2021 17:04
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