Prosegue questa settimana, il viaggio alla scoperta di Lugano attraverso la lettura dei dati statistici raccolti da Elio Venturelli, per 30 anni a capo dell'Ufficio cantonale di statistica. Dopo una prima analisi dei flussi migratori nella città e del suo impatto nella realtà urbana (area, 22.2.08), in questo numero l'attenzione volge al tasso di criminalità e al livello di sicurezza cittadino che ne consegue. Secondo le statistiche ogni anno a Lugano vengono denunciate tra le 3 e le 4mila infrazioni del codice penale svizzero. La fetta più grande – pari all'89,4 per cento – riguarda le infrazioni contro il patrimonio. In questa categoria troviamo una moltitudine di reati patrimoniali nella quale predominano varie modalità di furto: dal borseggio (87 casi nel 2000; 237 nel 2006) al furto con destrezza (173 casi nel 2000; 191 nel 2006); dal furto con scasso (623 casi nel 2000; 628 nel 2006) a quello nei veicoli (366 casi nel 2000; 584 nel 2006). Dal furto di veicolo (307casi nel 2000; 193 nel 2006) allo scippo (16 casi nel 2000; 15 nel 2006) fino al furto senza scasso (467 casi nel 2000; 744 nel 2006) e al taccheggio (179 casi nel 2000; 57 nel 2006). Le rapine sono invece passate da 13 a 21. Questi reati commessi a Lugano costituiscono il 25, 2 per cento di tutti i reati cantonali: una percentuale ben al di sopra dell'importanza demografica della città in ambito cantonale. Anche per gli altri tipi di reato la proporzione è di oltre il 20 per cento mentre la popolazione luganese rappresenta solo il 15 per cento di quella cantonale. Malgrado le oscillazioni annuali i tassi di criminalità a Lugano sono sempre superiori a quelli medi cantonali: le differenze registrate sono dell'ordine del 60-80 per cento con tendenze alla crescita.
Stesso scenario per i reati contro la vita e l'integrità della persona (vedi tabella), categoria numericamente meno importante ma riguardante delitti che incidono molto sul sentimento di insicurezza della popolazione. A queste infrazioni si devono poi aggiungere quelle alla Legge federale sugli stupefacenti che preoccupano non poco i cittadini (nel 2006 si registrano a Lugano 67 interveni della polizia, 133 nel 2007).

È bastato un giro in alcuni quartieri di Lugano capire quanto il tema della sicurezza sia caro ai cittadini. Siamo partiti da nord, nella zona dello stadio di Cornaredo dove abbiamo incontrato la signora Ada*, 93 anni, tutti vissuti nel quartiere di Molino Nuovo. «Non posso dire di vivere tutti i giorni con la paura di uscire di casa. Di certo il contesto di oggi non è più come quello che ho conosciuto in passato. Ho diversi conoscenti  che ora non escono più di casa perché sono state scippate o importunate mentre andavano in posta a effettuare i pagamenti del mese o uscendo dai negozi dopo aver fatto la spesa. Solo una volta ho avuto veramente paura: era una domenica pomeriggio, qualcuno suonò il citofono. Dall'altra parte un giovanotto che sosteneva di essere un operaio dell'azienda elettrica. Non gli ho aperto ma qualcuno deve averlo fatto al posto mio. E così me lo sono ritrovato davanti alla porta a suonare il mio campanello. Ha cercato di entrare: per fortuna avevo chiuso a chiave. Una vicina che aveva lasciato la porta aperta è riuscita a tenerlo fuori casa schiacciandogli il piede nella porta. Queste cose una volta non succedevano tanto è vero che il citofono è stato introdotto da pochi anni…».
Ma qual è la sua paura più grande? «Un tempo conoscevo tutti nella casa, nel quartiere e perfino quando andavo in centro. Sapevo che in caso di bisogno potevo contare sul sostegno di tutti; era come un grande paese. Oggi non è più così. Oggi nemmeno nel palazzo non conosco più nessuno: la maggior parte delle persone, mogli comprese, lavora tutto il giorno e quindi non ho occasione di incontrarle e dunque conoscerle.  Nel quartiere sono arrivate tutti volti nuovi, molti sono stranieri, il dialetto pochi lo parlano ancora. Capirsi è così più difficile. E di conseguenza non ho più quella rete di sicurezza che avevo prima. In caso di bisogno, a chi chiedo aiuto?».
Scendendo verso il centro entriamo nel cuore di Molino Nuovo dove ci aspetta la signora Cristina*, una giovane milanese giunta in Ticino una decina d'anni fa. «Certo Milano è ancora peggio ma anche qui assistiamo a scene animate. Qualche tempo fa la polizia è venuta e ha arrestato il mio vicino. Quatto quatto questi ha messo in piedi un traffico di droga del tutto particolare: nella siepe che separa il mio e il suo giardino lascia un pacchettino che, i suoi clienti, passano a ritirare nel corso della serata. Più che di arresto si è trattato di un fermo di qualche ora. Pochi giorni dopo, tutto è tornato come prima. La sera mi è capitato ancora di assistere allo scambio di "merce" sulla siepe. Da allora ogni sera chiudo finestre e imposte per non vedere e così garantirmi un sonno "tranquillo". Del resto che posso fare? La polizia è già informata…»
Terza tappa, il Parco del Tassino dove verso le 19.30 fanno capolino gli abitué della passeggiata serale con il cane. È un gruppetto di cinque o sei signore «Veniamo in gruppo perché l'atmosfera non è delle più rilassate. Vede che luce fioca che c'è? L'illuminazione andrebbe migliorata. Paura? Non proprio però siamo coscienti che insieme a noi c'è sempre qualcuno intento allo spaccio. Vede laggiù?». Chiudiamo il giro all'Università dove, da qualche tempo, si sta spostando lo spaccio prima concentrato esclusivamente a Besso. Qui incontriamo le signore Enrica e Giovanna*, in che ogni sera passeggiano il loro cane. «Dopo che hanno migliorato l'illuminazione e da quando gira un agente della sicurezza siamo più tranquille. Certo lì si spaccia: c'è solo da sperare che nessuno se la prenda con noi una sera. L'agente di quartiere? Sì abbiamo ricevuto l'opuscolo informativo… il problema che per ora il nostro agente l'abbiamo visto soltanto in fotografia. Mi piacerebbe proprio incontrarlo in carne ed ossa…».

*nomi di fantasia


Meglio prevenire

Tassino, Besso, Università: tre zone cittadine in cui lo spaccio è una realtà. La gente incontrata (e tra questi anche gli operai della nettezza urbana seguiti durante un loro turno notturno, area 25 gennaio 2008) è preoccupata e sconsolata di convivere con piccoli delinquenti a poca distanza. Gianrico Corti, in qualità di consigliere comunale e candidato al municipio e di abitante della via Besso cosa risponde ai cittadini che si chiedono cosa fare di fronte a questa situazione già nota dalla polizia?
La commissione intercomunale prevenzione (composta da educatori, psicologi e funzionari di polizia) ha di recente censito 57 luoghi a rischio in Città e dintorni. Ora è il momento di passare all'azione per individuare i motivi che spingono alla violenza e portano spesso alla delinquenza. In questo senso sono convintissimo della necessità di introdurre al più presto operatori di prossimità in grado di intervenire nei luoghi di aggregazione dei giovani, per cercare di gettare un ponte tra loro e la società, per prestare aiuto dove necessario, per capire, per conoscere, per trasmettere le regole della convivenza civile. Se è importante contare sulla presenza della polizia sul territorio, su pattuglie mobili, su agenti in borghese, è altrettanto importante, per questa fascia particolare di giovani e adulti, proporre queste figure professionali.
Per quel che ne è dello spaccio, uno tra i principali problemi riconosciuti anche dalla Polizia, il Comandante Torrente prova una certa frustrazione nel vedere i limiti del suo operato e auspica una migliora collaborazione con la magistratura ma anche con i politici (vedi box). Cosa può fare l'autorità politica cittadina?
La frustrazione della polizia di fronte al piccolo spaccio è innegabile: la legislazione svizzera fa sì che l'arresto di piccoli spacciatori resti un'eccezione e non la regola. Il politico dovrebbe in effetti agire a livello federale per ottenere misure legali che consentano di intervenire con minore difficoltà: insomma per evitare che un semplice fermo di un paio di ore permetta poi alla persona fermata di ricominciare a spacciare con rinnovata facilità. È il caso di dire, oltre il danno, la beffa.
Il politico locale non può fare nulla?
Oggi siamo appunto davanti a una situazione di reale difficoltà d'azione. Visto che gli strumenti legali a livello federale non sono così efficaci, per ora non si può fare altro che chiedere alla polizia interventi robusti e dissuasivi verso chi spaccia, per scoraggiare queste persone in tutti i modi, applicando tutte le regole possibili che si rifanno al rispetto dell'ordine. Oltre naturalmente a quanto già si riesce a fare, con inchieste e retate. Lo spaccio esiste perché esiste un notevole mercato locale: anche in questo campo è necessario tenere alta la guardia, con molta prevenzione e fatale repressione.
L'aver rinnovato di recente la figura dell'agente di quartiere è una conseguenza dell'aumento della criminalità?
L'agente di quartiere è nato con la prima aggregazione cittadina con Castagnola e Brè. Nel tempo questa figura si è diffusa in alcune zone con la funzione di occhio e orecchio sulla città. Oggi a seguito delle nuove aggregazioni, di un nuovo tessuto sociale multiculturale, e anche dell'accresciuta paura dei cittadini, ogni quartiere ha un suo agente fisso cui si affianca un pool più o meno numeroso da assegnare ai luoghi più a rischio. Oggi contiamo 18 agenti di quartiere.
Un numero sufficiente per una città di 50mila abitanti?
Rispetto al passato la situazione odierna è già un grande passo avanti. In futuro auspico una maggiore presenza visto che questo tipo di agente è il garante delle regole del gioco che ogni cittadino deve rispettare. Ma anche un riconosciuto punto di riferimento al quale potersi rivolgere direttamente, con fiducia.
Secondo il comandante Torrente la figura dell'agente di quartiere ha però senso solo di giorno in quanto il suo ruolo è quello di prevenire e dissuadere i crimini. Non reprimerli. È d'accordo?
Una presenza raddoppiata è a mio avviso necessaria per garantire al cittadino, su un maggiore arco della giornata, l'ascolto, la prevenzione, la comprensione e il corretto intervento della Polizia. L'agente di quartiere deve essere il primo referente a disposizione del cittadino: toccherà poi a lui valutare se è necessario o meno un intervento più importante. Il mio timore è che accada quello che è già successo in passato quando l'agente di quartiere è spesso stato messo in ombra perdendo così il suo ruolo fondamentale. In fondo se si fa una buona prevenzione e dissuasione sarà meno necessario reprimere…
La videosorveglianza può aiutare a risolvere il problema?
Tanto per cominciare la videosorveglianza ha dei costi non indifferenti e non è sempre uno strumento agile, oltre ad avere dei limiti nel rispetto della privacy. Al di là di questo, può quindi essere utile, ma non è di certo la panacea. Sono convinto che l'intervento umano è molto più efficace. Senza contare che più immagini da visionare ci sono, più agenti saranno tolti dalla strada, costretti magari in ufficio ad osservare filmati. La polizia deve, è vero, assolvere molti compiti anche amministrativi oltre che organizzativi e di strategìa, ma sento che la popolazione desidera vederli maggiormente sul territorio e in questo senso si sente maggiormente rassicurata.

Pubblicato il 

29.02.08

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