Spazio Amnesty

La settimana scorsa, una delegazione di sei generali birmani è venuta in Svizzera per un “viaggio di studio del federalismo”. Ironia della storia, proprio il giorno del loro arrivo Amnesty International pubblicava un rapporto nel quale accusava l’esercito birmano di crimini contro l’umanità commessi contro i Rohingya. I racconti dei testimoni, le immagini satellitari, le foto e i video raccolti dai miei colleghi portano tutti alla stessa conclusione: dal mese di agosto questa minoranza etnica è vittima di un attacco generalizzato e sistematico. I soldati e i poliziotti birmani hanno aperto il fuoco contro uomini, donne e bambini che scappavano dalle proprie case facendo centinaia di morti e feriti gravi, hanno violentato donne, incendiato case  bruciando vive le persone.


Conseguenza di questi crimini atroci: nello spazio di sette sole settimane, la metà della popolazione Rohingya – circa 600.000 persone – è stata forzatamente sfollata nel vicino Bangladesh: una delle più gravi crisi umanitarie degli ultimi anni. Ed ecco che la comunità internazionale, riunita lunedì scorso a Ginevra, non ha altra scelta che passare alla cassa per venire in aiuto ai rifugiati ed evitare che la situazione precipiti ulteriormente.


E la Svizzera che cosa fa? Accoglie uno dei principali responsabili, il capo dell’esercito birmano e vicecomandante delle forze di sicurezza, Soe Win. È semplicemente impensabile che quest’uomo non sia al corrente delle violenze commesse in questo momento dalle sue truppe in Myanmar. È anche molto probabile che sia implicato nell’ordine dato ai soldati di lanciare un’operazione di pulizia etnica contro i Rohingya.
Questa visita è difesa dall’ambasciatore svizzero in Myanmar come l’opportunità di un «dialogo aperto e critico». Ma le autorità svizzere avrebbero dovuto annullare questa visita seguendo l’esempio dell’Unione europea che ha sospeso ogni forma di collaborazione con l’esercito birmano. Non è il momento, ora, di continuare educatamente le relazioni diplomatiche con dei responsabili di crimini contro l’umanità!
Al contrario, sarebbe stato auspicabile che la Svizzera dimostrasse coraggio, chiudendo la porta ai militari birmani e dicendo forte e chiaro che avrà contatti con loro e fornirà formazione o assistenza tecnica solo quando questi attacchi sistematici smetteranno. Avremmo anche auspicato l’impegno per un embargo totale sulle armi destinate al Myanmar e in favore di sanzioni economiche contro i suoi alti responsabili militari. Un’occasione persa.

Pubblicato il 

26.10.17
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