Eurovisioni

Ancora una volta i vertici dell’Unione europea (Ue), confrontati da mesi con il conflitto tra Spagna e Catalogna, hanno fallito.
Il governo catalano aveva richiesto la mediazione delle autorità europee. Nessuno avrebbe mai creduto che l’Ue potesse sostenere l’ipotesi di uno Stato catalano indipendente, ma ci si poteva perlomeno aspettare che si esprimesse almeno in favore di uno statuto di autonomia in un contesto federalista, sul modello di quelli esistenti in molti paesi europei. I vertici dell’Ue hanno invece respinto la richiesta di mediazione e dato forza al presidente del governo reazionario e centralista, Mariano Rajoy.


Quando la sua vicepresidente Soraya Saen de Santamaria ha scatenato gli squadroni della Guardia Civil nei locali di voto di Barcellona, da Bruxelles è giunta una titubante esortazione a ricercare una soluzione politica. Ma dai vertici dell’Ue non è arrivato alcun contributo in questo senso, il che ha spianato la strada alla linea autoritaria. Ora in Catalogna la democrazia è stata cancellata e la stessa vicepresidente ha assunto la carica di “reggente” al posto del destituito Carles Puigdemont.


Tutto questo è reso ancora più amaro dal fatto che i movimenti sociali catalani, i fautori dell’indipendenza come quelli che chiedono maggiore autonomia, negli ultimi anni hanno promosso un potenziamento della democrazia, per esempio attraverso organi di rappresentanza degli abitanti e votazioni popolari nei quartieri di Barcellona.


Nei suo discorsi domenicali la Commissione europea afferma di voler promuovere una democrazia partecipativa in Europa. Vuole per esempio rafforzare quel diritto d’iniziativa rimasto finora inutilizzato. A ragione, la Commissione critica poi i passi intrapresi dai governi ungherese e polacco in direzione di regimi autoritari e rimprovera la Turchia, candidata all’adesione, per lo stato di emergenza imposto da Erdogan. Il messaggio perde però di credibilità se nello stesso tempo si dà luce verde all’instaurazione dello stato di emergenza in Catalogna. Un “Rajoydogan” è proprio l’ultima cosa di cui la democrazia in Europa ha bisogno.

Pubblicato il 

16.11.17

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