Parla il sociologo

Mendicanti uguali a criminali. Questa la pericolosa equazione che si sta insinuando nell’opinione pubblica. Attenzione – si urla da più parti – l’accattonaggio sarebbe una succursale della mafia. «Ma per favore, stiamo parlando di persone povere, non di criminali! Così non si fa che distogliere l’attenzione dai problemi reali legati alla povertà e suscitare nella popolazione sensazioni di insicurezza, fomentando il razzismo». Intervista al sociologo Jean-Pierre Tabin, di Losanna, che ha condotto uno studio sul fenomeno.

 

Come spiegare le reazioni che suscita la presenza nelle strade della nostra città di qualche decina di mendicanti? Ricordiamo, che Norman Gobbi, il ministro a capo della Polizia cantonale ticinese, ha invitato (in maniera assai discutibile ) la popolazione a fotografare i mendicanti e a postarli su Twitter, mentre il Corriere del Ticino ha lanciato in prima pagina un bel titolone a effetto “Dietro agli accattoni una mafia perfetta”.


Mafia, sì, proprio mafia, per affermare poi, qualche riga più in là, che in Ticino no, non esisterebbero «organizzazioni criminali, ma gruppi organizzati. Di principio sono nuclei familiari anche allargati che si coordinano e si spostano sul territorio (...) Non abbiamo avuto segnalazioni di furto». Dichiarazioni di Adriano Fattorini, comandante del corpo di Polizia intercomunale di Agno, Bioggio e Manno.


Confusion, potrebbe pensare qualcuno. Chi sono di fatto i mendicanti che si trovano in Ticino? Perché questo argomento è nelle agende politiche dell’Europa e della Svizzera? Abbiamo cercato di capirne di più con il sociologo Jean-Pierre Tabin, professore alla Scuola universitaria professionale della Svizzera occidentale che, assieme al collega René Knüsel, dell’Università di Losanna, ha pubblicato il libro “Lutter contre les pauvres. Les politiques face à la mendicité dans le canton de Vaud “ (Editions d’En Bas)”. Con questa opera, risultato di un’inchiesta a Losanna, gli autori propongono un’analisi della costruzione del “problema” dell’accattonaggio da parte delle autorità legislative, giudiziarie e amministrative, sostenute da una risonanza mediatica spesso caricaturale.


Jean-Pierre Tabin, c’è chi sostiene fra politici e autorità giudiziarie che dietro al fenomeno dell’accattonaggio si nasconderebbero organizzazioni criminali, le quali sfruttano le persone povere, facendole mendicare per ricavarne profitto. Esistono davvero queste reti malavitose?
Non tutti i cantoni danno questa lettura dei fatti: il canton Vaud, ad esempio, non sostiene questa pista. Nelle regioni dove la polizia difende questa tesi, come in Ticino, a Berna, o in certe parti dell’Austria e dell’Italia, lo fa senza prove verificabili. Ci sono delle inchieste, ma quante sfociano in condanne? E per che tipo di crimini? Berna ha lanciato nel 2009, con grande battage pubblicitario, il “piano” Agorà che dà allo Stato il diritto di sottrarre alle famiglie, per collocarli in foyer, i bambini utilizzati per chiedere la carità in strada. Ebbene, dalla sua introduzione nessun minore è stato fermato, semplicemente perché nella città di Berna non ci sono bambini che mendicano per la via. Il fenomeno dell’accattonaggio sembra sollevare piuttosto la questione dello spazio pubblico. Lo spazio pubblico è ormai riservato al commercio e tutto ciò che lo mette in pericolo viene proibito. Per quanto riguarda la convinzione che esista una rete che organizza l’accattonaggio, si tratta di un mito antico: ne faceva già uso Victor Hugo in “Notre-Dame de Paris”. Nel nostro libro spieghiamo i motivi che sostengono questa leggenda: ragioni che sono legate alla desacralizzazione della povertà in seguito alla Riforma. In verità, perché una rete criminale esista, occorrerebbe che l’accattonaggio producesse guadagni, e non è questo il caso. I mendicanti guadagnano in media fra i 10 e i 20 franchi al giorno: per fare soldi, bisognerebbe organizzarne a migliaia! Solo gli istituti che prendono le commissioni per il trasferimento dei soldi verso i paesi d’origine, e le imprese di trasporto, come quella che copre la linea Bucarest-Ginevra, guadagnano dai mendicanti.


Lo spirito di carità e di solidarietà è andato scomparendo?
La carità nel Medioevo era un atto di fede che raccomandava di donare al “buon mendicante”, colui che non aveva altra scelta. Dare dei soldi a una persona che non voleva lavorare non era considerato un atto cristiano perché significava incoraggiarne il vizio. Nel tempo è passato allo Stato il compito di aiutare i poveri e operare una selezione fra coloro che hanno diritto all’aiuto e chi ne è escluso. Di conseguenza, le persone che mendicano sono viste con sospetto, non si meritano un aiuto in quanto lo Stato non li sostiene. Il cambiamento è tale che oggi in Svizzera certe parrocchie scacciano i mendicanti.


Tutto questo favorisce l’idea diffusa che gli accattoni siano potenziali criminali...
Il modo più sicuro di criminalizzare l’accattonaggio è certamente quello di proibirlo (in Ticino l’accattanoggio è vietato da una legge risalente al 1941, ndr). La “criminalità” dei mendicanti coincide col fatto che vivono nelle strade di città dove sono stati introdotte limitazioni o divieti di accattonaggio. I mendicanti sono fermati dalla polizia perché dormono in strada o in macchina, perché non pagano la tassa dei rifiuti, perché fanno i loro bisogni all’aperto visto che le toilettes pubbliche sono state chiuse o rese a pagamento e, soprattutto, perché mendicano, che è appunto fuorilegge, in alcuni cantoni.


In Ticino si registra una forte diffidenza verso le persone provenienti dalla Romania e verso i rom. Perché questo atteggiamento che talvolta sfocia in pregiudizi razzisti?
Il termine "rom" è impiegato per qualificare delle popolazioni che non hanno nulla in comune, né la lingua, né l’origine nazionale, né la religione, né i costumi: è una categoria eterogenea. Funziona su stereotipi razzisti anche negli stessi paesi dell’Est europeo. Il razzismo può riversarsi senza freni sulle popolazioni che non hanno lobbies forti che li proteggono. Sartre scriveva che è l’antisemita che fa l’ebreo. È nello stesso modo che il razzismo produce il “rom”. Il fatto che i rom siano così frequentemente segnalati come gruppi problematici dimostra che non è finita l’era delle razze e del razzismo in Europa. Dovremmo tenere presente un’evidenza nei nostri giudizi: l’accattonaggio è prima di tutto una questione che riguarda delle persone povere, messe ai margini dal consumo e dal benessere. Affermare che è l’accattonaggio che fa il rom, significa etnicizzare la povertà, ciò che permette di evitare d’interrogarsi sulle cause strutturali della miseria e delle forme d’esclusione nelle democrazie neoliberali. È invece delle cause che bisognerebbe parlare, specialmente degli effetti delle riforme economiche messe in atto nei paesi dell’Europa dell’Est all’inizio degli anni 90 del secolo scorso.


Da dove proviene la maggior parte dei mendicanti che si trovano in Svizzera?
In Svizzera sembrerebbe che il mendicare sia soprattutto un fatto che tocca le persone provenienti da Romania e Bulgaria. Ma non è propriamente così, ci sono anche francesi, spagnoli... L’accattonaggio è la scelta del peggio di chi non ha più nulla. La situazione economica in certe regioni dell’Est europeo è tale che l’accattonaggio, che comporta dei rischi soprattutto per la salute, diventa quasi un obbligo per assicurare un minimo alla propria famiglia. L’accattonaggio non è invece – o almeno non ancora – una tradizione: i mendicanti spesso hanno avuto un lavoro e vorrebbero trovarne uno nuovo. Per i cittadini della Romania e della Bulgaria il lavoro legale in Svizzera è quasi impossibile a causa della politica dei permessi (la clausola speciale degli accordi con l’Unione europea concerne proprio questi due paesi).


Il fenomeno dell’accattonaggio per la crisi economica in atto potrebbe ancora crescere. La Svizzera si troverà pronta ad affrontare la questione?
La Svizzera – come l’Europa – ha una politica dei rimpatri e della chiusura delle frontiere. In questa maniera la politica pensa di risolvere il problema. Ignoro se il numero dei mendicanti aumenterà: oggi è molto limitato, si parla di qualche centinaio di persone in tutto il paese.


Secondo lei, quali sono le azioni di politica sociale necessarie per affrontare la situazione?
Applicare la Costituzione federale che dice che la forza di una comunità si misura con il benessere del più debole dei suoi membri. Non è con le politiche repressive che si risolvono le questioni sociali. Come noi sottolineiamo nel nostro libro, bisogna sviluppare delle politiche sociali mirate per questi poveri attraverso politiche d’accesso all’alloggio e al lavoro seguendo l’esempio di ciò che fanno nelle città italiane o francesi. Noi concludiamo così: «Queste iniziative non risolveranno i problemi delle disuguaglianze sociali ed economiche che caratterizzano oggi la situazione in Europa; problemi aggravati da una politica di subappalto e di dumping salariale nei paesi dell’Est da parte di certe industrie, soprattutto del ramo tessile. Quando parliamo di accattonaggio dovremmo fare un rapporto tra le nostre condizioni di vita, per esempio la possibilità di acquistare a basso prezzo degli abiti nei negozi di prêt-à-porter e quelle di esistenza e di lavoro imposte alle persone che producono i nostri vestiti. Così facendo, potremmo meglio comprendere perché siamo ugualmente responsabili della loro povertà e di conseguenza orientare diversamente il nostro sguardo su di loro».

 

Pubblicato il 

02.05.14

Edizione cartacea

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