Il vento cambia. E per i progetti di liberalizzazione è cominciata la stagione dell’autunno. È perlomeno quanto si può desumere dal risultato delle votazioni dello scorso fine settimana in Svizzera. In tre occasioni i progetti di privatizzazione sono stati respinti dai cittadini e dalle cittadine. A Bellinzona è stata bocciata la vendita dell’Azienda elettrica comunale, stesso scenario a Nidwaldo dove la popolazione ha detto no alla trasformazione dell’azienda in una società anonima. I vodesi, infine, hanno rifiutato la privatizzazione, anche se parziale, della Banca cantonale. Sulla base di questi risultati (ricordiamo che di recente anche Zurigo ha detto no alla privatizzazione dell’energia elettrica) appare chiaro che la resistenza verso le politiche di liberalizzazione e di smantellamento del servizio pubblico sta diventando sempre più forte e decisa. Il segnale politico è altrettanto chiaro: occorre porre un freno alla frenesia neoliberista propria di molti politici e governi. E a nove mesi dal voto sull’apertura del mercato dell’elettricità in Svizzera il messaggio ha il sapore di un avvertimento molto esplicito. Un avvertimento che vale anche in Ticino per i progetti riguardanti l’Azienda elettrica ticinese e la Banca dello Stato. Bene, dunque. Anzi molto bene. Ma come mai questo cambiamento? Credo che i «mostri» generati dalla globalizzazione e dalle euforiche privatizzazioni (e la lista è lunga) siano finalmente riconosciuti come tali e per questo combattuti da un numero sempre più consistente di persone che non crede più ai sedicenti miracoli del «nuovo che avanza». A crescere non è solo il movimento «no global» e la voglia di scendere in piazza per un mondo davvero più giusto e per ideali universali e collettivi. A crescere è anche una nuova consapevolezza acquisita nell’esperienza quotidiana, nel perimetro più ristretto del «locale», di «prossimità». La protesta contro lo smantellamento del servizio pubblico legato alla Posta è un esempio molto concreto di opposizione all’impatto che le politiche di privatizzazione hanno sull’individuo e sulla società. E questi esempi sono destinati a moltiplicarsi perché sacrificare sull’altare del profitto (di pochi) beni e servizi di pubblica utilità è semplicemente intollerabile.

Pubblicato il 

28.09.01

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