Lavoro e dignitĂ 

Da anni sempre la medesima paga, 15 franchi l’ora. All’annuncio del direttore di aver soppresso l’assicurazione indennità perdita di guadagno in caso di malattia, si ribellano e danno le dimissioni. Abbiamo raccolto le testimonianze di quattro lavoratrici sulla loro esperienza professionale presso la Dipra Sa, il cui titolare è stato pure denunciato da Unia per aggressione a un funzionario sindacale.

Arrabbiate non rende sufficientemente l’idea del sentimento che provano queste quattro donne nei confronti del loro datore di lavoro. Quando le incontriamo, sono un fiume in piena d’indignazione mentre raccontano la loro testimonianza di anni di soprusi subiti. Sanije 13 anni, Angela 10 anni, Silvia 7 anni, Francesca 6 anni. Sono gli anni passati a lavare e stirare nello stabilimento di una lavanderia industriale, la Dipra Sa di Sementina.


Per farci trovare delle lenzuola ben pulite in un albergo low cost di una catena presente anche Lugano e Ascona, queste donne ricevono 15 franchi l’ora. La medesima paga da quando hanno iniziato. Sanije e le sue colleghe  non hanno mai visto crescere di un franco la loro retribuzione. Tutte residenti nel cantone, lo specifichiamo in questi tempi di salario minimo.  Lo scorso mese tutte e quattro hanno dato la disdetta dal rapporto di lavoro. «Sia io, sia le mie colleghe riteniamo impossibile continuare un rapporto di lavoro di questo genere» hanno scritto in quattro lettere distinte ma identiche nel contenuto.


La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la scoperta di non avere più l’assicurazione per la perdita di guadagno in caso di malattia. Una scoperta di cui sono venute a conoscenza il 1° settembre con una breve circolare interna del datore di lavoro. Casualità, proprio due settimane dopo che una dipendente aveva annunciato al datore che a fine settembre si sarebbe dovuta sottoporre a un intervento chirurgico. Le dipendenti erano doppiamente sconcertate, perché dalle loro buste paga veniva regolarmente dedotta l’assicurazione perdita di guadagno. In seguito hanno poi scoperto che in realtà l’assicurazione era stata disdetta a gennaio, nove mesi prima. Le furibonde signore si sono dunque rivolte al sindacato per difendere i loro interessi. Prima di rivolgersi al sindacato, avevano tentato  di risolvere bonariamente la questione con il loro datore,  dandogli tempo due settimane per risolvere i problemi. Non essendosi mosso nulla, l’intervento sindacale successivo ha consentito il recupero delle somme abusivamente dedotte per un importo complessivo di 10.000 franchi per tutti i dipendenti.


Molto probabilmente non saranno gli unici soldi che riceveranno. Il sindacato sta calcolando il mancato pagamento delle ore così come scritte nero su bianco nei rispettivi contratti. Le dipendenti infatti sono state assunte al 100% per 45 ore settimanali. Raramente raggiungevano le ore pattuite da contratto. Raccontano che, con motivazioni fumose, il direttore diceva loro di restare a casa regolarmente tutti i giovedì, ma capitava che pure in altre giornate le ore saltavano. Con il risultato che molto sporadicamente lavoravano le ore dovute per contratto. Anzi, molto spesso erano nettamente inferiori. Ma la legge è chiara su questo punto: il datore di lavoro è obbligato a remunerare una persona per il tempo pattuito da contratto, mentre lui le pagava a ore. Come detto, a breve Unia adirà le vie legali per ottenere il dovuto alle lavoratrici, stimato in svariate decine di migliaia di franchi, visto che la legge consente di risalire fino a cinque anni.


Un’attività sindacale non apprezzata dal datore di lavoro, visto l’atteggiamento avuto nei confronti di un funzionario sindacale. Per chiarire la mancata copertura della perdita di guadagno all’operaia che si era sottoposta all’intervento, il funzionario sindacale si era recato in ditta. Il direttore lo ha aggredito, e per questo motivo è stato denunciato in polizia. Come si dice in questi casi, la giustizia farà il suo corso.
Tornando invece alle signore, sollevate di lasciare un ambiente  di lavoro «da prigione» e costellato da ripetute minacce, insulti gratuiti, anche razzisti, si dicono nella lettera di licenziamento «dispiaciute di non avere altre soluzioni che dare la disdetta, onde salvaguardare la loro salute».  


E chiudono la missiva dicendosi certe che «visto il lavoro molto pesante (in piedi tutto il giorno, portando pesi in continuazione in un caldo infernale), non avendo mai percepito un aumento in tutti gli anni, che la mia paga sia sempre stata una miseria.»

 

«Il neo-assunto mi costa meno»

 

«Se hanno fatto questo passo, devo valutare una denuncia perché le signore si sono comportate non male, ma molto peggio». Non le ha prese sportivamente il direttore della lavanderia Dipra le testimonianze delle sue ex dipendenti su area. «Per quindici anni hanno lavorato qui, accettando sempre tutte le condizioni e ricevuto il salario per le ore effettivamente svolte. Per quelle mancanti le avevo invitate ad andare in disoccupazione. Il perché non lo abbiano fatto è un problema loro, non mio». Unia non la pensa così e rivendicherà la differenza in sede giudiziaria.


Col sindacato però lei ha un altro problema, una denuncia nei suoi confronti per aggressione a un funzionario sindacale. «Anche in questo caso esiste una spiegazione. Col sindacato abbiamo gentilmente cercato una discussione, ma non è stato possibile. Una delle signore si era lamentata che avessimo assunto un ragazzo frontaliere disoccupato quando in ditta non ci fosse lavoro a sufficienza. Poiché fino a prova contraria la ditta è mia e di conseguenza decido io, assumendo chi voglio, e per di più come opera di bene nei confronti del ragazzo. Se a un dipendente non gli sta bene, non è obbligato a rimanere. L’ho spiegato anche al sindacalista, aggiungendo che il neo-assunto mi costava meno di loro e rendeva di più. Abbiate pazienza, ho detto al sindacalista, la ditta è mia e assumo chi voglio. Il sindacalista però non voleva accettare questa spiegazione, quindi l’ho invitato ad andarsene, fare i passi che riteneva e nel caso ci saremmo confrontati davanti ai giudici. Nonostante ciò, qualche giorno dopo il sindacalista, senza essere invitato, si è presentato nuovamente con la sua auto nel mio piazzale, mi ha snervato e gli ho tirato un cazzotto. Di questo mi assumo le mie responsabilità».


Infatti ora la magistratura farà le sue valutazioni sull’accaduto. «Certo. Conosciamo le regole in Svizzera. Quando ammazzi una persona paghi tremila franchi di multa. Non siamo mica in America, eh. Preciso comunque che non è stata questa la motivazione per cui ho agito così».


In merito alle rimostranze delle signore, lei non ha nulla da rimproverarsi? «Le signore hanno fatto gruppo per ricattarmi. O fai così o noi ce ne andiamo. Ho detto loro che questo non lo avrei mai accettato, tanto meno l’esistenza di un clan all’interno della ditta. Ho quindi risposto loro che la porta era aperta. Siamo tutti utili, ma nessuno è indispensabile. Loro hanno deciso per la disdetta».


Non conta nemmeno il fatto che abbiano lavorato da molti anni per lei? «La verità è che quando si è troppo buoni, si pagano le conseguenze. Sono stato troppo buono nel tenerle, quando le avrei dovute mandare via prima».


Pubblicato il 

16.11.17
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