Commercio al dettaglio

La recente divulgazione sul Blick di un documento interno della Coop ha scoperchiato il vaso di Pandora sulle ripetute infrazioni alle normative sul lavoro nel commercio al dettaglio. Nel solo mese di novembre nelle filiali bernesi della Coop, sono state rilevate 475 infrazioni alla legge sul lavoro. La Coop ha confermato la veridicità del documento. Fra i problemi maggiormente riscontrati, le troppe ore lavorative settimanali dei dipendenti e le lunghe giornate (fino a 14 ore) per via degli orari spezzettati da pause per coprire le fasce di apertura sempre più prolungate.

Non è la prima volta che le infrazioni alla Coop vengono rese pubbliche. Già nel 2014, la trasmissione della televisione svizzero-tedesca Kassensturz rivelò le medesime problematiche. Oggi come allora, Coop garantisce di avere a cuore il rispetto delle norme per i dipendenti e di adoperarsi per migliorare. Coop imputa una parte delle infrazioni dovute a situazioni improvvise, quali le assenze dei collaboratori per malattia o vacanze.

La risposta equivale a una parziale ammissione di non avere personale a sufficienza. Le malattie e le vacanze sono infatti dei fattori prevedibili nella gestione del personale, non fatti imprevisti. Il problema è che il margine di personale a disposizione è inesistente, lavorando sempre sul filo del rasoio.
In base alla cifra d’affari prevista per la filiale, un algoritmo determina quante ore di personale servono. Il gerente non può sgarrare, deve elaborare un piano turni con quelle ore a disposizione. Poiché neanche l’algoritmo azzecca con precisione l’afflusso della clientela, i turni variano in continuazione, diventando o più lunghi o soppressi. E nel caso di situazioni particolari, il gerente alza la cornetta e chiama al lavoro le forze necessarie. Poi vi sono i periodi caldi, i prenatalizi con grande afflusso di clientela che esige turni extra dal personale. Oppure l’estate, quando il personale che non in vacanza lavora di più. Ciò impone una grande flessibilità delle dipendenti che devono essere sempre disponibili quando chiamate sul lavoro in tempi brevi.

Consultando le offerte di impieghi nella vendita di Coop Ticino, nel mese di gennaio si trovano cinque posti vacanti. Sono tutti con contratti da 8 a 20 ore settimanali, mentre l’ultimo è uno stage. La modalità 8-20 ore è la stessa offerta nei mesi precedenti. Le assunzioni al 100% in Coop, ci confidano dei dipendenti di lunga data, sono un lontano ricordo.
Il tetto massimo di venti ore consente di impiegare con estrema flessibilità le lavoratrici, vedi piegarle alle esigenze aziendali. Ciò preclude alle dipendenti di organizzare la propria vita, familiare ad esempio, o di trovare un secondo lavoro per garantirsi un reddito decente.

Lo spezzettamento dell’impiego delle collaboratrici è un ottimo strumento, per le aziende, anche nel caso di aperture prolungate. Nessun nuovo posto di lavoro viene creato, ma semplicemente si allungano le ore giornaliere con cui giocare per impiegare le dipendenti. Quanto emerso in Coop è generalizzabile ad altre realtà del commercio al dettaglio. «Questo è un problema generale di tutto il ramo. Non riguarda solo Coop» ha dichiarato al quotidiano zurighese Arnaud Bouverat, responsabile del settore di Unia nazionale. «Nessuna legge viene più infranta di quella del lavoro» ha commentato al Blick il professor Thomas Geiser, esperto di diritto del lavoro e giudice presso il Tribunale federale.

Se le violazioni sono molto frequenti, altrettanto non si può dire dei controlli o delle sanzioni. Gli organismi competenti sono gli ispettorati cantonali del lavoro (Uil). Sottodotati ovunque, ma nel mondo del lavoro ticinese disastrato la situazione è particolarmente grave.
«Negli ultimi cinque anni, sono stati controllati 250 commerci per un totale di 2.100 addetti», comunica ad area Stefano Rizzi, direttore della Divisione dell’economia cantonale, da cui dipende pure l’Uil. Se la cinquantina di visite aziendali l’anno non appare gran cosa rispetto al numero di commerci sul territorio, ancor meno sono le sanzioni. La legge non prevede sanzioni pecuniarie, spiega Rizzi. «Alla prima violazione, vi è un richiamo ai sensi dell’articolo 51 cpv. 1 LL. In caso di recidiva, è previsto un ulteriore richiamo, attraverso l’emissione di una decisione formale, sotto comminatoria della pena prevista dal Codice penale qualora l’azienda rifiutasse di conformarsi alla LL. In caso di ulteriore recidiva vi è la denuncia al Ministero pubblico per il perseguimento penale dell’infrazione commessa».

 

Ad area non risultano denunce penali in tal senso. Anche perché il sistema non è per nulla trasparente. Se vittime di infrazioni alle norme legali sul posto di lavoro, i dipendenti non ne vengono però informati direttamente dall’Ispettorato del lavoro. Per una singolare interpretazione della tutela della privacy, le lavoratrici e i lavoratori non hanno il diritto di conoscere l’esito dei controlli e degli eventuali abusi riscontrati dall’Ispettorato del lavoro nelle aziende in cui esercitano. Men che meno hanno il diritto di conoscere le sanzioni inflitte all’azienda. Su proposta del Canton Ticino, a livello federale si sta discutendo di modificare la norma della privacy, ma limitandola ai soli lavoratori distaccati. I salariati residenti, invece, continueranno a rimanere all’oscuro di come siano stati abusati e truffati.

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Gargantini (Unia): «Riducendo il personale all’osso si salvaguardano i profitti aziendali a spese del personale. Va potenziato l’apparato di controllo»


Giangiorgio Gargantini, segretario di Unia Ticino e responsabile del settore terziario, quali sono i fattori che portano a questa violazione costante della legge sul lavoro nel ramo della vendita?
La ricetta della grande distribuzione nella vendita al dettaglio è semplice: ridurre la massa salariale per mantenere invariato il profitto aziendale. Per farlo, hanno ridotto il personale all’osso e nel caso di nuove assunzioni, per contratto garantiscono poche ore settimanali, così da poterli impiegare quando fa comodo all’azienda. È la tanto decantata flessibilità. Il rovescio della medaglia è tutto del personale, che si ritrova sotto costante pressione, mentre quelli impiegati con un tempo parziale molto basso, non riescono a conciliare gli impegni della vita privata con quella professionale. Inoltre, lavorando così poche ore, guadagnano un reddito insufficiente per vivere e al contempo, dovendo essere sempre a disposizione dell’azienda quando si viene chiamati, non possono trovarsi un secondo lavoro per migliorare le entrate economiche. Questa tipologia contrattuale causa precariato economico perché genera poco reddito e precariato sociale perché la conciliabilità con la vita familiare diventa un miraggio.

 

Lo scorso anno il fatturato di Coop è cresciuto ulteriormente, arrivando a quasi 31 miliardi.
È l’esempio della massimizzazione dei profitti attraverso un’accresciuta pressione sui lavoratori. Il gruppo Coop ha nuovamente realizzato degli utili, ma per l’ennesima volta si è rifiutato di concedere degli aumenti salariali lineari. Sono ormai dieci anni che i dipendenti non condividono gli ottimi risultati realizzati con il loro lavoro.

 

Sul sito di Coop, gli impieghi offerti propongono tutti una contrattualistica di poche ore settimanali.
Il contratto standard in Coop è ormai 8-20, ossia un minimo settimanale di otto ore e un massimo di venti. Va specificato che non si tratta di contratti d’entrata che saranno migliorati col tempo. Sono infatti molti i dipendenti che da anni lavorano con questo monte ore. Persino dei giovani, dopo aver terminato l’apprendistato in azienda, sono stati assunti a 8-20 ore. Ciò è particolarmente grave, perché dimostra che, dopo aver investito nella formazione di un giovane, l’azienda non gli garantisce un lavoro dignitoso, ma lo assume a condizioni precarie.

 

L’alto tasso d’infrazioni è correlato a pochi controlli e deboli sanzioni?
La legge sul lavoro e il suo apparato di controllo riassumono il rapporto di forza tra salariati e aziende in Svizzera. La carente sorveglianza spinge molti datori di lavoro a tentar la sorte, nella speranza di passarla liscia. Tanto più che, nel caso si venga scoperti, la sanzione sarà irrisoria. A nostro giudizio, date le note difficoltà del mondo del lavoro in Ticino, questi apparati devono essere potenziati per garantire un tessuto economico sano, con migliori salari e condizioni di lavoro. Queste dovrebbero essere una priorità politica del Cantone, ad esempio, attraverso il riconoscimento del suo statuto speciale.

 

Come reagisce il sindacato per contrastare quanto accade nella vendita e nel mondo del lavoro in generale?
L’obiettivo prioritario di Unia quest’anno è migliorare il potere d’acquisto dato dal reddito dei lavoratori. Per ottenerlo, sarà fondamentale legare la rivendicazione degli aumenti salariali al tema del tempo di lavoro. I contratti che garantiscono poche ore, oltre a generare inconciliabilità tra lavoro e vita personale del dipendente, producono reddito insufficiente per l’interessato. L’eventuale aumento salariale del tempo pieno, migliorerebbe ben poco il reddito dei tanti, troppi, lavoratori a poche ore.

Pubblicato il 

13.02.20
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