La legge che chiude le porte

Il Consiglio nazionale ha cominciato l’esame, che proseguirà in giugno, della nuova legge “contro”gli stranieri, come qualcuno l’ha definita. In realtà il nuovo ordinamento, nonostante le sue ambizioni, non rappresenta affatto un miglioramento per i diretti interessati. L’attuale legge sulla dimora e il domicilio degli stranieri, concepita nel 1931 soprattutto per dare alle autorità gli strumenti di polizia allora considerati necessari al mantenimento del controllo sugli immigrati, è ormai superata dall’accordo con l’Unione europea sulla libera circolazione delle persone che riguarda oltre il 54 per cento degli stranieri. Invece di approfittarne per dare alla Svizzera un ordinamento veramente nuovo e adeguato ai tempi, si è preferito confezionare una nuova legge che agli immigrati provenienti da paesi non-Ue riserva in sostanza lo stesso trattamento poliziesco della precedente, con qualche leggero ritocco e con l’aggiunta di norme sull’ammissione attente soltanto alle esigenze dell’economia. Le novità sostanziali sono tre: la netta distinzione tra cittadini dell’Ue (le cui condizioni di soggiorno e di lavoro sono regolate dal relativo accordo bilaterale) e tutti gli altri che sono ammessi solo se costituiscono manodopera qualificata o specializzata; qualche miglioramento nell’ottenimento del domicilio (permesso C), al fine di favorire l’integrazione; norme più chiare sulla lotta alla criminalità, al commercio di esseri umani, al lavoro nero ed ai matrimoni di compiacenza. Su quanto questo nuovo ordinamento piaccia ai diretti interessati, abbiamo parlato con Franco Basciani, funzionario del sindacato Flmo per il gruppo lavoratori immigrati. «La prima parte della discussione in parlamento su questa legge», dice Franco Basciani, «è stata seguita con molto interesse dai nostri militanti di base, per esempio turchi o macedoni. Nei loro discorsi questo tema viene subito dopo quello del lavoro; e sono molto indignati per il risultato, a loro dire poco democratico, delle decisioni che il parlamento sta prendendo». Quanto sono conosciuti i contenuti della nuova legge? Come gruppo sindacale, avete fatto qualcosa per farli conoscere? Sono state tenute diverse assemblee informative in tutte le regioni, sia da parte del Sei che della Flmo, anche in comune, e due o tre conferenze nazionali nelle quali è stato dibattuto anche questo tema con i lavoratori direttamente coinvolti e con esperti del settore. Rispetto alla legge attuale, quella nuova è più attenta alle esigenze dell’economia. Questa differenza viene colta? Viene avvertita questa pressione maggiore dell’economia? Per l’aspetto relativo all’economia, oggi i lavoratori immigrati hanno una nuova consapevolezza, e sono convinti che senza la loro presenza qui in Svizzera non funzionerebbe nulla, non ci sarebbe ricchezza culturale, non ci sarebbe sicurezza sociale (si pensi solo all’Avs) e praticamente nessun benessere. Anche l’aspetto poliziesco è da loro molto sentito. Per esempio, il rinnovo di un permesso di soggiorno diventa problematico se non impossibile qualora si perda il lavoro, anche se non per colpa propria. Sono indignati perché non vengono neppure interrogati, non gli si dà la possibilità di esporre le loro ragioni. Allora, se la nuova legge sarà più attenta alle esigenze dell’economia rispetto a quelle di polizia, viene visto positivamente? No, no, ciò che auspica il settore emigrazione della Flmo è una legge per gli immigrati, che guardi anche alle esigenze dell’economia, ma che riconosca loro soprattutto dei diritti, la parità di accesso ai servizi, l’eliminazione della discriminazione tra diverse categorie di cittadini. La nuova legge non dà queste garanzie; e allora è una legge alla quale noi siamo contrari. L’unica novità, dal profilo dei diritti, finora emersa nel dibattito parlamentare (e speriamo che rimanga fino alla fine dell’iter), è la concessione ai sans-papiers di poter regolarizzare la loro posizione dopo quattro anni di permanenza in Svizzera. Nel nuovo progetto di legge ci sono anche tre innovazioni di fondo. La prima è quella relativa al sistema d’ammissione detto “dei due cerchi”. Ci sono state, nel sindacato, critiche puntuali a questo aspetto? E perché? Le critiche riguardano soprattutto la discriminazione di chi è già qui in Svizzera, che non andrebbe trattato in modo differente a seconda che sia partito dall’Italia o dalla Turchia. Con 25 articoli l’Unione europea regola la libera circolazione delle persone anche con la Svizzera. La nuova legge svizzera ha invece 123 articoli, perché ha la pretesa di regolare la vita degli immigrati, discriminandoli per avvantaggiare altre categorie di cittadini. Inoltre è una legge che, mantenendola prassi poliziesca, continua ad autorizzare gli uffici cantonali di polizia degli stranieri a decidere in modo più o meno arbitrario sul rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno. Ne avremo la dimostrazione in giugno, quando il parlamento esaminerà la seconda parte del progetto e discuterà dei cosiddetti “matrimoni finti”, che si vogliono combattere lasciando all’impiegato dello stato civile addirittura il potere di negare la celebrazione di un matrimonio: vengono insomma dati poteri immensi a singole persone, che li eserciteranno sulla base di valutazioni personali arbitrarie, fatte “ad occhio”. Un’altra innovazione prevista sono le misure mirate a promuovere l’integrazione. Sono apprezzate, queste proposte? Avremmo preferito avere una legge apposita per l’integrazione, proprio perché abbiamo visto che non si può nella stessa legge, da un lato, discriminare di fatto i cittadini migranti non appartenenti all’Unione europea, e poi dall’altro lato dire: adesso facciamo delle misure d’integrazione. Noi avremmo preferito una legge separata per i diritti dei migranti, fatta per i migranti e senza tutta quella parte (la più consistente) di 30-35 articoli che parlano di misure poliziesche, di espatri forzati, di misure coercitive, fino a confondersi con la legge sull’asilo. E questo a noi non sta bene. La nuova legge presenta infine strumenti di lotta alla criminalità, ai passatori, al lavoro nero, ai matrimoni compiacenti, eccetera. Sono provvedimenti di polizia che però sono visti positivamente dal cittadino medio. Nel sindacato cosa se ne pensa? Non abbiamo ancora approfondito questo aspetto. Ma anch’io sono del parere che bisogna lottare contro il traffico di esseri umani e tutto il resto. Penso tuttavia che bastino le leggi ordinarie. E ritengo che organismi internazionali e ministeri debbano fare opera concreta anche all’estero, laddove vi sono le riserve di persone sfruttate da questa grande vergogna del traffico di esseri umani. Per concludere, alla luce di tutte queste considerazioni, è possibile che il sindacato decida alla fine di lanciare un referendum contro questa nuova legge? C’è una discussione aperta, sia sul referendum, sia su una probabile iniziativa. Quel che è certo, è che come sindacato il 4 maggio, durante il dibattito parlamentare, oltre mille persone del movimento “Senza di noi non funziona niente” siamo scesi in piazza in 14 cantoni e in 16 città. Torneremo in piazza il 5 giugno, quindi prima della seconda parte della sessione dedicata alla legge sugli stranieri, assieme ad altre 120-130 organizzazioni, e faremo sentire la voce dei migranti a questa maggioranza borghese che si ostina a vedere nel migrante un pericolo invece che una ricchezza.

Pubblicato il

14.05.2004 02:30
Silvano De Pietro
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