La crisi non è solo sulla carta

Sempre più gruppi editoriali annunciano ristrutturazioni e licenziamenti. Sovente le motivazioni appaiono pretestuose. In pericolo il pluralismo nella stampa elvetica.

L'ultimo esempio è quello della Basler Zeitung, la quale ha addirittura minacciato il comitato di redazione che, se fosse trapelato qualcosa sul contenuto e sull'applicazione del piano sociale, la direzione della società non si sarebbe più attenuta a tale piano. In altre parole, i giornalisti colpiti devono accettare ciò che viene offerto loro e tacere, pena l'esclusione da ogni beneficio.
Anche in casa Ringier, editrice del tabloid Blick, la decisione annunciata in novembre di sopprimere 16 impieghi non sembra affatto giustificata. Secondo i sindacati Comedia e Impressum, Ringier non ha problemi finanziari e nel 2008 deve aver registrato un aumento della cifra d'affari del 10 per cento. Per Impressum, la diminuzione delle entrate pubblicitarie evocata da Ringier è solo «un pretesto per ridurre senza troppe resistenze i suoi effettivi e scegliere in seguito nuovi collaboratori».
Qualcosa di preoccupante, che conferma queste accuse, è quanto il gruppo zurighese Tamedia vuole imporre a Berna. Qui il quotidiano Bund, 157 anni di tradizione, dovrebbe fondersi con la Berner Zeitung, tre volte più forte, o rassegnarsi a cooperare con il Tages-Anzeiger. I dettagli dell'operazione non sono ancora noti, ma è chiaro che, al di là delle probabili riduzioni di organico, si aprono nuove questioni: Berna avrà un solo quotidiano di qualità? Ma può essere di qualità un giornale monopolista senza concorrenza? E come si possono affrontare i delicati problemi posti dalla fusione forzata di due culture editoriali diverse e concorrenti?
Si ha l'impressione che nel campo editoriale le decisioni di strategia aziendale vengano prese guardando soltanto al tornaconto immediato, senza molta considerazione per la pluralità e l'indipendenza dell'informazione. Può essere letto così, per esempio, il fatto che a Berna in 20 giorni sono state raccolte oltre 10 mila firme in calce alla petizione "Salvate il Bund", lanciata e sostenuta da un comitato presieduto dalla consigliera agli Stati Simonetta Sommaruga insieme ad altre personalità (di diversi partiti) della politica e dell'economia. Ciò che si chiede è semplice: che non si lasci morire una «istituzione della vita politica, economica, culturale e sociale di Berna». Anche il governo cantonale bernese ha espresso al presidente della Tamedia il desiderio che vengano mantenute due testate redazionalmente indipendenti.
Il sindacato Comedia è preoccupato. All'inizio di dicembre ha consegnato alla Federazione della stampa svizzera (Vsp, l'associazione padronale degli editori) una «Dichiarazione urgente sulla condizione del giornalismo in Svizzera», corredata da centinaia di firme di giornalisti e di esponenti della cultura e della politica. Tra l'altro vi si chiede che la Vsp si distanzi dalle dichiarazioni del suo presidente, Hanspeter Lebrument, che vorrebbe «strumentalizzare il Consiglio della stampa per scopi commerciali e rafforzare l'influenza degli editori sui servizi giornalistici».
La Vsp ha risposto che il discorso di Lebrument sarebbe stato equivocato: gli editori «sono consapevoli che il capitale di fondo del loro successo sono la qualità giornalistica e la credibilità dei loro prodotti», e quindi «in nessun modo l'indipendenza redazionale va subordinata agli interessi commerciali». Belle parole, ma sta di fatto che nessun quotidiano ha parlato dell'iniziativa del sindacato Comedia e dei problemi sollevati. Solo sul settimanale di sinistra Wochenzeitung la direttrice del Maz (il maggior centro di formazione giornalistica della Svizzera), Sylvia Egli von Matt, ha salutato l'azione sindacale «contro il declino degli standard giornalistici e per migliori condizioni di lavoro». Risparmiare sul contenuto, ha aggiunto, sarebbe la morte dei giornali di qualità sul mercato odierno. E tuttavia, tra le belle parole degli editori ed il silenzio dei giornalisti, la tendenza va proprio in questa direzione.


Ristrutturazioni permanenti

Secondo i dati Wan (l'associazione mondiale dei giornali), in Svizzera ci sono circa 44 giornali per milione di abitante, mentre in Germania sono 23, in Gran Bretagna 21, in Francia e Italia soltanto 2. La tiratura dei giornali a pagamento in Svizzera è raddoppiata tra il 1930 e il 1985, si è stabilizzata in seguito, per poi calare a partire dal 2005. I giornali gratuiti hanno fatto la loro apparizione negli anni Duemila. Sono letti dal 30 per cento della popolazione che ha più di 14 anni.
I principali gruppi editoriali privati svizzeri sono Ringier (Zofingen), Tamedia (Zurigo), Edipresse (Losanna) e Nzz (Zurigo). Questi gruppi continuano ad annunciare misure di ristrutturazione, con riduzioni degli organici, chiusure di testate, fusioni di redazioni. L'ultimo esempio è quello della Basler Zeitung, che a metà gennaio ha annunciato la soppressione di 22,5 posti a tempo pieno (oltre il 20 per cento della redazione) con 8 licenziamenti e una dozzina di prepensionamenti forzati.
Ma l'ondata che sta travolgendo i media svizzeri è cominciata nell'autunno scorso. In ottobre, uno dei quotidiani più prestigiosi in Svizzera, la Neue Zürcher Zeitung, ha annunciato la soppressione di 80 posti – il 10 per cento della sua forza lavoro – che permetterà un risparmio di 20 milioni di franchi. Il suo principale concorrente, il Tages-Anzeiger, aveva recentemente già ridotto del 15 per cento il personale nella divisione online.
Jean Frey ha cancellato 25 posti per risparmiare 9 milioni di franchi, e il trend vale anche per il più importante editore svizzero, il gruppo Ringier (Blick) che vuole risparmiare 30 milioni e sopprime 16 impieghi. La rivista "Cash" e il domenicale di lingua francese "dimanche.ch", affiliate a Ringier, hanno spedito una decina di lettere di licenziamento. Tagli occupazionali sono previsti anche per il settimanale Weltwoche, che però non ne ha precisato l'ampiezza. Altri tagli occupazionali sono stati annunciati dal gruppo argoviese Az Medien (Aargauer Zeitung) e da Publigroup (principale venditore di spazi pubblicitari sui media). Per non parlare dei romandi, come Edipresse o come le redazioni de L'Impartial e L'Express (Neuchâtel), dove giornalisti e personale tecnico sono in quasi permanente agitazione sindacale.
In tutti i casi gli editori definiscono la ristrutturazione una conseguenza inevitabile della crisi finanziaria e del calo delle entrate pubblicitarie. Ma studi recenti mostrano che il problema dei media svizzeri non è solo la crisi economica globale: in realtà hanno reagito troppo tardi al cambiamento nello stile di lettura delle nuove generazioni. Rispetto a 30 anni fa, oggi in Svizzera si consumano più media ma si leggono meno i giornali, cioè si legge più in fretta (giornali gratuiti per i pendolari, con articoli brevi, a bocconcini); e pensando di trovare uno sbocco in Internet, molti editori si sono lanciati con un po' troppa euforia su questo mercato.

Pubblicato il

27.02.2009 03:00
Silvano De Pietro
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