Il caso

Zamire Zeta* non sa più cosa fare. La lavoratrice albanese, che ha circa 20 anni, lavorava in un ristorante del Cantone di Lucerna dall'autunno scorso. A marzo ha iniziato un nuovo lavoro, sempre nel ramo della ristorazione. In seguito, il Consiglio federale ha imposto la chiusura dei ristoranti. Essendo ancora in prova, Zeta è stata licenziata. Trovare un lavoro in questo momento è impossibile e non può nemmeno ricevere l'indennità di disoccupazione, perché non ha maturato un periodo di contribuzione sufficiente. In realtà, ora dovrebbe chiedere l'assistenza sociale fino alla fine della crisi ma non osa farlo. Teme che ciò possa mettere a rischio il suo permesso di soggiorno.


Insicuri anche con il permesso C
Molti migranti che hanno perso il loro lavoro precario a causa del coronavirus sono in gravissime difficoltà. Se fanno ricorso all'assistenza sociale, sono segnalati all’ufficio migrazione. Quest’ultimo può anche decidere di declassare o addirittura di revocare il permesso di soggiorno. Ciò vale anche per le persone residenti in Svizzera da 15 o più anni e in possesso di un permesso C, che teoricamente dovrebbe garantire un diritto di soggiorno illimitato e senza restrizioni. Hilmi Gashi, responsabile nazionale per le politiche migratorie del sindacato Unia, dichiara: «I nostri affiliati senza passaporto hanno paura». In questo periodo di crisi ha assistito centinaia di persone. «Molti hanno ricevuto un chiaro messaggio dalle autorità che diceva loro che il ricorso all’assistenza sociale era sinonimo di poco impegno per l’integrazione. Questa accusa equivale al mancato rinnovo del permesso».


Colpiti su più fronti
E non è tutto. Le leggi svizzere e le autorità, con la loro prassi, puniscono i migranti più volte. Altri due esempi: molte delle circa 70.000 persone con un permesso di soggiorno di breve durata (permesso L) hanno perso il lavoro, ad esempio in un ristorante o in una ferrovia di montagna. Per poter richiedere ora l'indennità di disoccupazione, hanno bisogno di un modulo del loro paese d'origine come conferma di aver già lavorato nell'Unione europea. Molti hanno aspettato per settimane i moduli compilati. Hilmi Gashi conferma: «Le autorità in Italia, Portogallo o Spagna sono sopraffatte dalla quantità di richieste pervenute durante la crisi.


Inoltre, coloro che dipendono dagli aiuti sociali ora, non potranno essere naturalizzati in seguito. Nel Cantone di Berna, ad esempio, il ricorso all'assistenza sociale non permette di ottenere il passaporto rossocrociato per dieci anni. Gashi ribadisce: «Questo riguarda molte persone ben integrate che ora vogliono partecipare anche alla vita politica». È vero che la Confederazione ha esortato i Cantoni a essere tolleranti in questi casi ma per il responsabile migrazione di Unia non è sufficiente. Queste persone sono vittime della pandemia e anche in alcuni casi delle misure adottate dal Consiglio federale. È già abbastanza difficile perdere il lavoro senza alcuna colpa. Il minimo che il Consiglio federale può fare ora è dare loro l'assicurazione che non saranno ulteriormente puniti: «È necessaria una regolamentazione chiara. Il ricorso all'assistenza sociale non deve essere interpretato come una mancanza di volontà di integrazione!».
*Nome di fantasia

 

 

L'appello
L’INES (Istituto Nuova Svizzera) ha lanciato un appello al Consiglio federale affinché le difficoltà economiche in tempo di crisi non mettano a repentaglio il permesso di soggiorno e la naturalizzazione.

Pubblicato il 

05.05.20

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