Confini

Via tutti, prima i nostri. Se lo slogan è stato evidentemente a effetto nel canton Ticino, tanto da avere indotto il 58% dei votanti ad accogliere l’iniziativa, anche dall’altra parte del confine ha prodotto una reazione. Inversamente proporzionale. Che rischia di dividere e spaccare ulteriormente i confini. A spese dei salariati. «Il clima si sta facendo preoccupante, che la buona politica ritorni a fare il suo dovere contro il folclore prima che accada l’incidente». Del voto che ha fatto parlare tutta l’Europa si è parlato in un incontro transfrontaliero tenutosi a Verbania perché se l’attenzione sui frontalieri è sempre stata alta, «oggi ancora di più».

“Gli inglesi vogliono lavoro solo per gli inglesi, gli svizzeri solo per gli svizzeri”. Solo che poi nella realtà non funziona così: ma vaglielo a spiegare a chi ha votato che era tutto un bluff per dividere i lavoratori e mantenere su di essi il controllo. Al di là dei giochi di potere di chi lancia queste campagne per ricavarne profitto sulla pelle di chi lavora, la situazione si sta facendo sempre più incandescente e rischia di sfuggire dalle mani. Se in Ticino se ne parla da mesi, lo stesso accade dall’altra parte del confine da dove provengono i 60.000 frontalieri messi sul banco degli imputati. A Verbania lunedì scorso si è appunto parlato di “I confini del frontalierato: evoluzione del fenomeno post iniziativa” organizzato dalla Cgil Piemonte-Verbania in collaborazione con il sindacato Unia. È stato proprio Enrico Borelli, il segretario regionale di Unia Ticino e Moesa, a ricordare alla platea una volta di più che si tratta di iniziative tutte inapplicabili dal punto di vista giuridico: «Inapplicabili, ma pericolose e subdole perché dividono i salariati e le salariate, e mettono in concorrenza i lavoratori».


Perché vengono lanciate? «Sono finalizzate a speculazioni politiche. Chi le lancia non vuole risolvere i problemi, ma approfittarne. In Ticino siamo confrontati con una situazione del lavoro sempre più difficile,  dove i datori di lavoro hanno libero arbitrio ed esercitano una notevole pressione sui salari. La Svizzera garantisce pochissime tutele ai lavoratori e il padronato propone salari che non potrebbero essere accettati da un residente. Da qui il ricorso alla manodopera frontaliera, spesso anch’essa sfruttata» ha aggiunto Borelli.   


Taglieggiamenti dei salari, messa in concorrenza dei lavoratori, dinamiche di sostituzione della manodopera per pagare stipendi sempre più risicati: occorre rafforzare i diritti perché, come è stato evidenziato  «non c’è paese in tutta l’Europa occidentale dove il lavoro è così poco tutelato».
Interessante l’osservazione fatta da Alessandro Tarpini: «La votazione ticinese insegna ai governanti lombardi che c’è sempre qualcuno più a nord. Ma al di là delle battute occorre prestare attenzione a un clima di tensione che sta crescendo in Italia come in Svizzera prima che accada un incidente: è un tema che dovrebbe preoccupare le persone che hanno la testa sulle spalle. In questo senso la Regio Insubrica dovrebbe ritrovare un ruolo attivo proprio per partecipare a risolvere il conflitto: avrebbe dovuto essere un livello intermedio per raccogliere i problemi, e invece si è trasformata nella passarella dei vari leghismi. Chiederò formalmente che si rilanci questa comunità di lavoro».


Il coordinatore nazionale Cgil frontalieri ha posto l’accento su  un concetto scontato, ma che vale la pena ribadire: «Abbiamo bisogno entrambi: la Svizzera dei frontalieri e i frontalieri della Svizzera. Per questo bisogna provare a ritornare a mettere in circolo la buona politica contro il folclore. È un tema, questo, legato alla diplomazia».


Enrico Borghi, deputato alla Camera per il Pd, ha parlato di «tempesta perfetta» sfociata in “Prima i nostri”: «La destra estrema prende più voti, alla destra in generale sta bene che non vi sia un’emancipazione dei lavoratori e dal punto di vista imprenditoriale che cosa c’è di meglio di poter esercitare questo dumping?». Il Ticino non è un caso isolato, è così in tutta Europa. «Brexit è  certamente un caso più pesante in termini politici. Ma le iniziative contro l’immigrazione di massa del 9 febbraio e quest’ultima dell’Udc mettono in discussione il rapporto Italia-Svizzera e Bruxelles-Berna. E che cosa significa essere europei in una disgregazione politica che ha nella rinazionalizzazione la risposta come fuga al disorientamento?» ha sottolineato il parlamentare del Pd.


Insomma, un problema sempre più ingombrante per un intero continente.
Francesco Montemurro, direttore del Centro studi Cgil Ires Morosini, ha posto l’attenzione sulla necessità di rafforzare le misure accompagnatorie: «L’economia ticinese richiede l’introduzione di correttivi nei rapporti bilaterali con l’Ue. Il gap salariale relativamente elevato per i lavoratori frontalieri in Ticino conferma che l’attuazione delle misure di accompagnamento è di particolare importanza per le regioni dove l’occupazione frontaliera è alta».
Infine, Enrico Borelli ha osservato che «sarebbe opportuno, alla luce anche degli ultimi dati Ustat, oltre a tenere in considerazione l’indicatore della disoccupazione, indagare sulla qualità del lavoro in Ticino. Qualità spesso indegna e indecorosa sotto vari aspetti perché il lavoro qui è slegato dai diritti».

Pubblicato il 

20.10.16
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