Con la borsa di Shanghai che scende e l’economia che rallenta, il miracolo cinese sembra oramai al capolinea. Questo è il tenore dei commenti che da mesi ci vengono propinati dai media, anche perché molti spererebbero che fosse veramente così. Difatti non rientra per niente negli schemi ideologici dei media mainstream, che sia proprio il paese che si dice ancora comunista ad avere la crescita economica più forte e più solida. Paese comunista? Secondo la vulgata dominante qui da noi, si tratterebbe invece solo di una specie di mascherata ideologica, per giustificare una struttura totalitaria di potere. Personalmente sono d’accordo con il grande economista neomarxista italiano Arrighi, che aveva definito la Cina odierna un paese in mezzo al guado, di cui nessuno può con sicurezza dire se diventerà veramente capitalista o se alla fine svilupperà una società socialista. Secondo lui quest’ultima possibilità continua ad essere realistica, almeno sino a quando tutte le decisioni economiche fondamentali vengono prese dallo stato, a cui appartiene l’intero territorio.


Una decina di anni fa avevo posto la domanda provocatoria “Ma siete ancora comunisti?” ad uno dei responsabili della politica estera del Comitato Centrale. Lui mi aveva risposto che siamo solo noi occidentali a non capire che loro pianificano a lunga scadenza: dopo Mao, loro hanno capito che non si può costruire il socialismo nella povertà, per cui attualmente affidandosi a molti meccanismi di mercato stanno accumulando quella ricchezza, che poi più tardi vorranno distribuire. Questa risposta mi aveva lasciato molti dubbi.


Nel frattempo però il pendolo sta cambiando direzione: molti ospedali vengono ristatalizzati, le coperture sociali si stanno estendendo e di molto, la Cina è probabilmente l’unico paese al mondo che in base ad una recente legge fissa che i salari annualmente debbano crescere più della produttività. Anche dal punto di vista dell’ecologia gli investimenti sono straordinari e centinaia di fabbriche non sanabili vengono chiuse.
Che siano allora questi fatti, che hanno già portato parecchi investitori a delocalizzare verso paesi a salari più ridotti, a provocare le oscillazioni della borsa di Shanghai? Ne sono convinto.


Tutte le persone con cui ho parlato in occasione di un recente viaggio in questo paese (il nono o il decimo dal 1989 a oggi) dicono che “il presidente Xi Jinping sta veramente facendo sul serio: vuole migliorare la qualità di vita, sta spostando molte risorse verso la socialità ed il mercato interno”. E se quindici anni fa mi si ripeteva “duecento anni fa avevamo lo stesso livello di vita di voi occidentali, poi ci avete conciati da buttar via, ora vogliamo di nuovo raggiungervi”, adesso con molto orgoglio in molti ripetono “stiamo diventando veramente forti”. Ed allora questa Cina bisogna veramente prenderla sul serio. Non perché faccia paura: è un popolo, grazie anche a secoli di buddismo, che non è violento e non ha mai aggredito nessuno. Ma perché ha progetti enormi per il futuro. A partire dalla nuova via della seta, progetto ciclopico e grandioso lanciato da Xi Jinping, che dovrebbe collegare per via marittima, ma soprattutto di terra, con autostrade e nuove linee ferroviarie, la Cina all’Europa. Quando qualche mese fa ero in Kirghizistan, ho visto il primo pezzo di questa autostrada all’uscita delle montagne cinesi. Non c’è dubbio alcuno che anche da questo punto di vista stiano facendo molto sul serio. E allora è forse arrivato il momento di tenerne conto.

Pubblicato il 

08.10.15
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