Esteri

Quando avrete sotto mano questo numero di area, a meno di sorprese, i giochi saranno fatti, anche se la partita fra Spagna e Catalogna non sarà finita e tutto lascia credere che durerà ancora a lungo con un gioco sempre più sporco.

A Barcellona, giovedì 26 ottobre, il Parlament  catalano era convocato per ascoltare l’intervento del President della Generalitat, Carles Puigdemont (capo della coalizione indipendentista: PDeCAT, Partit Demòcrata Europeo Català, centro-destra; ERC, Esquerra Republicana de Catalunya, centro-sinistra; CUP, Candidatura d’Unitat Popular, sinistra radicale). Fino all’ultimo incertezza su cosa avrebbe detto: l’indipendenza della “Repubblica di Catalogna”, votata nel tumultuoso e controverso referendum del primo ottobre, già mezzo annunciata il 10 davanti al parlamento regionale ma subito “sospesa” per lasciar “la porta aperta” a un dialogo sempre rifiutato dal premier Mariano Rajoy? O piuttosto avrebbe ascoltato l’infinità di pressioni e fatto un passo indietro indicendo elezioni anticipate?


A Madrid, quello stesso giovedì 26, era fissata la seduta della commissione del senato incaricata di vagliare la richiesta di Rajoy di applicare l’ormai famoso articolo 155 della costituzione che commissaria una regione riottosa e che poi, venerdì 27, doveva passare al plenum per la discussione e il voto. Un voto dall’esito scontato perché il “blocco costituzionalista”  (o “blocco monarchico” per Pablo Iglesias, il leader di Podemos) – il governante Partido Popular di Rajoy, che per l’occasione ha ritrovato tutte le radici franchiste, e le sue stampelle di destra, Ciudadanos di Albert Rivera, e di sinistra, il Psoe  dello sperduto Pedro Sánchez a cui di socialista rischia di rimanere solo il nome –, in senato ha 217 voti contro 46.
Il senato aveva invitato anche Puigdemont (no, grazie). Su di lui pende la minaccia di un’accusa addirittura per “ribellione” al vaglio della magistratura.   


Questo, più o meno, era il quadro. Poi, a partire da sabato 29 ottobre, la Spagna e la Catalogna si ritroveranno a navigare in un mare ignoto, sballottate nella più grave crisi dal ritorno della democrazia.
Ora su questa crisi plana come un drone “il 155”. Che nessuno sa bene come funzioni o cosa comporti visto che nei 40 anni della costituzione del ’78 non è mai stato usato. Correva voce che Rajoy proponesse al senato un “155 blando” e invece  ha presentato un “155 duro” per castigare i catalani e “tornare alla legalità”. In sintesi: Puigdemont rimosso, come il suo vice Junqueras e tutti gli assessori regionali; gli affari catalani gestiti dai vari ministeri del governo centrale direttamente da Madrid; tutte le risorse economiche della Comunità catalana bloccate (lo sono già); i mossos d’esquadra, i 15.000 uomini della polizia autonomica, precettati o sostituiti da contingenti della Guardia Civil e della Polizia Nazionale; i 50.000 funzionari della Comunidad o sottomessi o rimossi (compresi… i pompieri); via anche il direttore di TV3, la rete regionale catalana, “per garantire una informazione corretta e obiettiva”; il Parlament praticamente senza poteri; elezioni regionali entro 6 mesi.


Come reagiranno i politici e la popolazione della Catalogna all’occupazione manu militari? La protesta resterà pacifica? E che accadrà se, come suggeriscono i sondaggi, gli indipendentisti o i repubblicani vincessero di nuovo le elezioni? Saranno messi fuorilegge?


Acque ignote, mari pericolosi. Ma l’avventurismo catalano per “la independencia exprés” ha toccato un nervo scoperto. Peccato che sia stata la corrotta destra catalana (il PDeCAT è il nuovo nome dell’impresentabile CiU, Convergència i Unió) a sfidare la corrotta destra “spagnola” del PP (con più di 800 fra condannati, processati o indagati), rubando alla sinistra un ruolo che dovrebbe essere suo: quello per una “seconda transizione”,  una riforma costituzionale seria, una Spagna non più “uninazionale” ma davvero “plurinazionale” in cui anche regioni come la Catalogna e il Paese Basco possano ritrovarsi. Da sola la sinistra nuova nata sull’onda degli indignati del 15 maggio 2011 non ce la fa e pur avendo una posizione ragionevole (“Noi vogliamo sconfiggere il progetto degli indipendentisti, ma non con la forza”, dice Iglesias) in questo clima da Ok Corral soffre e perde consensi (i sondaggi danno Unidos Podemos in calo), mentre la “sinistra” tradizionale, nonostante le speranze sorte con il ritorno di Sánchez alla testa del Psoe, anziché unire le sue forze a UP per battere  l’offensiva PP-Ciudadanos, prosegue sulla strada che in Grecia ha portato al suicidio il Pasok.
In Catalogna e in Spagna la confusione è grande sotto il cielo. Ma non è per niente sicuro che la situazione sia eccellente.

Pubblicato il 

26.10.17
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