Jorge Jérez, detto Jorgito, vive a Cuba ed è un brillante giornalista. Alla nascita, 21 anni fa, presentava tutti i segni di un grave danno cerebrale motorio, ma per fortuna con capacità intellettuali intatte. I medici cubani allora dubitavano che avrebbe mai potuto camminare: per due anni fu sottoposto a continua e intensa riabilitazione in ambiente ospedaliero. Il trattamento continuò poi ambulatorialmente, con l’intervento di medici, fisioterapisti, pedagoghi, genitori e parenti.


Oggi, anche se i suoi movimenti rimangono parecchio scoordinati e la sua locuzione non sempre facilmente comprensibile, Jorgito lavora ed ha una vita normale. La storia di Jorgito è al centro del documentario “Il potere dei deboli” del regista tedesco Tobias Kriele, che è stato mostrato la sera del 12 agosto a margine del Festival del film di Locarno, in una sala strapiena e per organizzazione dalla Commissione Culturale dell’Ospedale di Locarno.

 

Il film, anche se forse un po’ troppo lineare ed agiografico, mostra bene questa esperienza entusiasmante che può essere ben riassunta in quanto Jorgito dice ad un certo momento: “Senza Cuba e la sua storia non sarei mai arrivato qui”. E che non si tratti di un caso unico, lo desumo da quanto avevo visto alcuni anni fa, quando Aleida Guevara (la figlia del Che, lei stessa pediatra), mi aveva invitato a visitare una scuola speciale per ragazzi con diversi tipi di disabilità all’Avana. Lì avevo effettivamente visto che, come racconta Jorgito, ogni “paziente” ha un riabilitatore, totalmente dedicato a lui. Condizioni di cui in quasi tutti i paesi del mondo, in parte Svizzera compresa, si può solo sognare. Il regista, presente alla proiezione, ha raccontato anche la sua storia personale, che lo ha poi convinto a girare questo film.

 

A 25 anni, dopo aver lavorato come falegname, decise che voleva studiare. In Germania non riusciva a farlo. Andò a Cuba ed ora, dopo 8 anni, ha un dottorato in filosofia. Il film trasmette un profondo senso di ottimismo e di gioia per la vita. Sarebbe forse troppo sperare di mostrarlo al Festival, ma andrebbe bene per la serie “Storie” della RSI, dove spesso temi simili vengono trattati in modo un po’ piagnucoloso… Ma non ci facciamo illusioni. Il nostro servizio pubblico radio-televisivo, quando si parla di Cuba, preferisce sottolineare le storie di qualche dissidente mitomane, che sul posto non ha mai contato nulla, salvo far arrabbiare i cubani per i finanziamenti che riceveva dall’estero.


A proposito di Festival, l’Associazione per l’aiuto medico al Centro America (Amca) avrebbe voluto proiettare sulla Piazza Grande in una delle sere precedenti l’apertura il film di Ken Loach “La canzone di Carla”. La direzione del Festival, temendo le reazioni di qualche innominabile Granconsigliere, accettò a condizione che ci fosse il regista. Siccome K. Loach ha firmato la protesta per la collaborazione del Festival con la cinematografia statale israeliana, con la sua ben nota coerenza alla fine non è venuto. E così anche Amca ha dovuto rifugiarsi con il film al cinema Otello di Ascona.

Pubblicato il 

10.09.15

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