Cultura e società

Latte macchiato, subito e ciao. Si fa un gran parlare della marginalizzazione in Svizzera dell’idioma di Dante con la soppressione di cattedre di italianistica e la crisi dell’associazionismo. E invece, dicono gli studiosi, l’italiano non solo è elemento fondativo dell’identità nazionale, ma è profondamente radicato nel nostro paese, dimostrando una scoppiettante vitalità. La lingua non è relegata in un ghetto, bensì permea la società, come sottolinea la grande manifestazione “Zurigo in italiano”: due mesi interi per parlare e sognare con il bello di questa cultura.
 
Siamo in Tödistrasse a Zurigo, numero civico 65. È l’edificio deputato del Consolato generale d’Italia, ma ospita anche l’Istituto italiano di cultura in Svizzera. Qui incontriamo Licia Coffani che reputa “Zurigo in italiano” una «trovata geniale a beneficio sia degli italiani sia degli svizzeri perché la cultura di Dante, nelle accezioni più alte e in quelle più popolari, deve poter circolare, in particolare in un paese, come il vostro, che ha l’italiano fra le lingue nazionali». La direttrice dell’Iic ci allunga il programma cartaceo e ci indica uno degli appuntamenti di cui il suo istituto è fra gli organizzatori: «Guardi, se mercoledì 29 novembre sarà a Zurigo, non si perda “I Bislacchi”, un omaggio a Fellini con uno spettacolo di danza sulle musiche dei film del talentuoso regista. Ma se sfoglia il pieghevole, si renderà conto della ricchezza e di quanto sia variegata l’offerta. Non sorprende, quindi, che fra gli spettatori non si trovino unicamente immigrati italiani, o i loro figli, le cosiddette seconde e terze generazioni, ma anche gente del posto interessata alle proposte». Per Coffani, la lingua italiana esercita un particolare fascino per la sua bellezza e armonia nei confronti del pubblico svizzero, che ne apprezza anche il patrimonio artistico, architettonico, musicale e letterario. «Negli ultimi anni il Made in Italy, con le sue eccellenze relative alla moda, al cibo e al design, ha aiutato positivamente la percezione dell’Italia nell’immaginario collettivo svizzero» continua Coffani.

 

Che nella vita quotidiana in Svizzera ci sia più italianità di quanto si pensi, lo conferma anche la sociologa Irene Pellegrini, che abbiamo incontrato sabato scorso al convegno sul plurilinguismo. Sì, sempre nella città sulla Limmat, sì, sempre all’interno della manifestazione “Zurigo in italiano”. La sintesi?
L’italianità in questo momento  dà prova di enorme vitalità e le è ovviamente riconosciuto il ruolo di pezzo fondativo dell’identità nazionale della Confederazione. «Se pochi decenni fa, qualcuno affiggeva i cartelli “vietato ai cani e agli italiani”, oggi assistiamo a un fenomeno diverso: si mescola la tradizione svizzera con quella italiana. In Argovia la sagra si trasforma in “Spaghetti-Plausch”, dove si combinano il simbolo dell’arte culinaria del Belpaese con la zucca più marcatamente d’uso nella cucina elvetica. A Lugano, per fare un altro esempio, ho fotografato un furgoncino Ape che proponeva prelibatezze italiche in uno street food. Insomma, l’italianità è viva ed essendo portatrice di appeal non è più nascosta, né relegata, ma, a differenza forse del passato, vive in primo piano grazie anche a un sapiente marketing. L’italianità la si esibisce nella quotidianità da cui è stata assorbita, come dimostrano i tanti termini entrati a far parte del linguaggio d’uso comune in Svizzera tedesca e francese. L’italianità è una realtà radicata che non può essere identificata solo nei confini della sua territorialità d’origine».


In effetti, passeggiando per Zurigo sono tante le parole italiane che incontriamo nelle vie commerciali: non ci avevamo neppure fatto caso, tanto è ormai prassi. Del resto, noi in Ticino, a casa per indicare la senape, usiamo il termine tedesco “Senf” e siamo italofoni: questa è la mobilità linguistica in Svizzera. E, allora, come si spiega il fatto che le cattedre di italianistica siano minoritarie all’interno delle facoltà e la soppressione della lezione di questa lingua nazionale in molte scuole del paese? Sono fatti marginali? «Fuori dai contesti istituzionali, l’italiano sta benissimo. Le lingue sono ormai indipendenti dal luogo: se ne fa esperienza ogni giorno: l’italiano con tante sue parole è radicato anche nelle altre lingue nazionali» continua la studiosa dell’Istituto di ricerche sociologiche dell’Università di Ginevra, che è fra gli autori del compendio “Italiano per caso. Storie di italofonia nella Svizzera non italiana” per i tipi Casagrande (2016).


La sociologa evidenzia quanto la mobilità contribuisca alla contaminazione dei segni e dei simboli: «Una lingua e una cultura hanno tante radici: le persone e le idee si spostano e  le conoscenze si trasformano. Il plurilinguismo non minaccia l’italiano: non bisogna essere cocciuti nel mantenersi monolingui, come va evitata l’ortodossia grammaticale e sintattica. In verità le competenze sono il  risultato imprevedibile delle storie, delle traiettorie personali». D’accordo con questo ultima osservazione anche Raffaele De Rosa, che al convegno ha lanciato una piccola provocazione: «Per noi linguisti esistono 7.000 lingue, io dico che sono 7 miliardi: ognuno di noi ha la sua specifica lingua per comunicare».


Al di là delle parole, ci sono anche i numeri: quasi un residente su otto in Svizzera ha un legame con l’italianità in diverse sfumature: c’è chi è italofono, quello che ha origini italiane o ha affinità con la cultura o la lingua italiana. Non è poco. Sullo sfondo di una forte mobilità, si intuiscono il valore e le potenzialità dell’italianità in un contesto sempre più pluriculturale.


Pubblicato il 

16.11.17
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