Nei paesi sedicenti avanzati ci si azzuffa per accaparrarsi il nuovissimo iPhone 5, l'ultimo gingillo della Apple. Negli stabilimenti cinesi che l'iPhone 5 lo producono ci si azzuffa per frustrazione e stress (cfr. pag. 12). Qui il problema è avere l'ultimo modello di un usa e getta hi-tech. Lì ci si aggrappa in tutti i modi ad un lavoro e ad un salario che rimandano con la memoria al nostro più buio Ottocento industriale.
Di mezzo c'è il plusvalore, avrebbe detto Marx, uno che dell'Ottocento industriale se ne intendeva. Plusvalore gigantesco e, a fronte dei salari versati, totalmente immorale, che non finisce né a chi gli iPhone li produce con le sue mani né a chi con le sue mani con quegli aggeggi ci giochicchia annoiato. Tanto che il fondatore di Apple, Steve Jobs (foto), era considerato l'uomo d'affari più potente al mondo. Ed era, manco a dirlo, venerato come un guru: alla sua morte, poco meno di un anno fa, non si levò nemmeno una voce critica sul sistema di sfruttamento e repressione delle maestranze che Apple ha messo in atto attraverso i suoi fornitori per demolire i prezzi e la concorrenza.
Perché questo è Apple: un colosso che prospera sull'ignobile sfruttamento di una forza lavoro disperata, disposta a tutto e quasi illimitata. Nelle fabbriche cinesi decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori subiscono ogni genere di sopruso, come dimostra uno studio realizzato dall'Ong Sacom di Hong Kong con il sostegno fra gli altri di Pane per tutti e di Sacrificio Quaresimale: se gli obiettivi giornalieri non sono raggiunti si recupera con straordinari non pagati, turni di 13 giorni di lavoro consecutivi non sono l'eccezione, chi sbaglia è punito. E così via.
Apple dice di non essere responsabile delle condizioni di lavoro presso i suoi fornitori. Addirittura sostiene, gran faccia tosta, di non sapere se nello stabilimento cinese teatro della rissa si producano componenti dell'iPhone 5. Certo è che con la sua posizione dominante sul mercato è Apple a determinarle, queste condizioni di lavoro. Ci sarebbe un ultimo anello capace di sovvertire i rapporti di forza e di riportare un po' di giustizia in tutta la catena. Sono i consumatori. Siamo noi. Ma siamo così atomizzati e plagiati da non essere più capaci non tanto di un'azione collettiva, ma nemmeno di un dibattito civile se non di un pensiero comune. È alla nostra indifferenza che sono incatenati i moderni schiavi nelle gigantesche fabbriche cinesi del nostro benessere.

Pubblicato il 

28.09.12

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