L’impresa che fu secondo Edo Bobbià

Per due decenni è stato il volto e la voce del padronato dell'edilizia ticinese.  Edo Bobbià lascerà la carica di direttore della Società svizzera impresari costruttori sezione Ticino il prossimo 12 maggio, in occasione dell'assemblea annuale dell'organizzazione. Gli subentrerà Vittorino Anastasia, già vicedirettore Ssic. Il momento è propizio per trarre un bilancio sulle trasformazioni nel mondo edile nell'ultimo ventennio visto dal padronato, e il bilancio personale tra soddisfazioni passate e le preoccupazioni per l'immediato futuro.

Edo Bobbià, lei ha assunto la carica di direttore della Società svizzera impresari costruttori (Ssic) sezione Ticino nel 1988. In 23 anni, il mondo del lavoro ha fatto passi avanti o indietro?
Il mondo del lavoro è peggiorato. Aldilà delle "normali" diatribe tra sindacati e padronato, prima c'era più umanità, che si esprimeva nella cura della formazione degli apprendisti, nella ricerca della tranquillità nei rapporti sui cantieri. Oggi c'è un "attivismo" esasperante difficile da gestire. Lo si vede anche nelle nostre riunioni. L'assemblea cantonale della Ssic era un evento. Gli impresari di tutto il cantone si presentavano in anticipo, preparati e documentati. Oggi sono di corsa e non hanno tempo di leggere la documentazione. E il rapporto tra direzione e base ne risente.
Le associazioni padronali sembrano aver perso l'autorevolezza nei confronti dei loro affiliati, più tentati nel giocare individualmente che in gruppo. Concorda con questo giudizio?
Sì, con dispiacere. C'è un certo egoismo che non lascia spazio agli interessi generali. Di riflesso, la Ssic fa fatica a "imporre" le regole del gioco, quali la sicurezza sui cantieri, la valorizzazione dei collaboratori e cosi via.
Lo stesso vicepresidente della Ssic Ticino, Michele Barra, non ha seguito le raccomandazioni Ssic sugli aumenti salariali del 2011, scegliendo di non versare la parte di aumento generale a tutti i dipendenti. Non è contraddittorio?
Il caso di Michele Barra è anomalo. Ha giocato un ruolo la pressione del suo partito, la Lega dei ticinesi. Non credo abbia voluto trasgredire le regole, ma cercare una via autonoma. So che Barra paga bene i suoi operai, sopra i minimi salariali. Va anche detto che il suo esempio non è stato seguito da nessun altro impresario. La decisione di Barra rientra però nelle libertà decisionali del singolo impresario.
Di cosa va particolarmente fiero della sua esperienza professionale?
Di aver sottoscritto 23 contratti di lavoro. Come Ssic Ticino abbiamo firmato dei contratti anche senza l'autorizzazione della centrale. Ma non ci sono mai stati problemi: era nel bene dell'impresario e dei lavoratori. Quando vado nei cantieri, raramente sono contestato. Certo, a volte la battaglia coi sindacati è stata aspra e io ci mettevo la faccia. Rammento due volte di aver avuto sotto i nostri uffici due o trecento operai contrari alle nostre decisioni. Alla fine però, ed è quello che conta, il contratto si sottoscriveva.  
Qualcosa di cui si rammarica?  
Mi spiace che la capacità di dialogo stia venendo meno. Vedo un peggioramento rispetto al passato, anche da parte sindacale. Ce le si dava di santa ragione, ma non si perdeva di vista l'obiettivo finale di firmare il contratto. Vado in pensione sereno con un ricordo dei miei avversari molto buono. Oggi il discorso è molto più difficile. Non so se sia colpa dei sindacati o degli impresari, ma si vive in uno stato di tensione permanente. Forse la mia epoca è finita.
Forse la colpa sta nel degrado nel mondo del lavoro: caporalato, scatole cinesi dei subappalti, profitto immediato a ogni costo. Dica la verità, è contento di lasciare prima che tutto vada a rotoli…
Devo darle ragione. Vedo situazioni che solo fino a dieci anni fa erano impensabili. La voglia di guadagno immediato è recente. E confesso che faccio fatica a capirla. Buona parte degli impresari sanno che gli operai sono il loro capitale più importante. Riuscire a tessere un buon rapporto tra operai e impresari è fondamentale. Complice l'attivismo a cui accennavo prima, l'attenzione per l'operaio oggi a volte viene meno. Alla lunga, questo è un handicap.
Nuclei di operai ridotti all'osso, esternalizzazione e subappalti, ricorso a interinali sono pratiche correnti anche nelle grandi imprese cantonali…
La risposta, purtroppo, è una sola: "cosi fan tutti". La struttura d'impresa in Ticino e Svizzera è unica in Europa. Altrove si ha un nucleo ristretto di operai e, a seconda dei lavori, si assumono lavoratori per portarli a termine. Avere gli stessi effettivi di personale tutto l'anno è diventato anacronistico. Personalmente, non riesco a pensare a questo modello di azienda. Nutro dei dubbi che sia la strada vincente. Rimango convinto che fidelizzare l'operaio all'azienda sia ancora la scelta migliore.
Fanno bene dunque i sindacati a denunciare questo imbarbarimento?
Ai sindacalisti ho sempre rimproverato di praticare un sindacalismo superato. È vero che ci sono grossi problemi nel mondo del lavoro, ma è anche vero che per la parte padronale è difficile acquisire lavori e rispettare i termini contrattuali. Invece di esacerbare gli animi inutilmente tra impresari e operai, i sindacati dovrebbero concentrarsi sulle soluzioni complessive.
C'è anche il problema degli appalti pubblici con tempi di consegna improponibili. Non sarebbe auspicabile un fronte comune tra sindacati e padronato su questo punto?
La domanda è pertinente. Su appalti pubblici non internazionali, si può anche fare. La legge sulle commesse pubbliche è stata recentemente migliorata, ma non è ancora ottimale. Il fattore prezzo è ancora troppo decisivo. Nel privato, il discorso è diverso. Quando la speculazione è massima, si va nei pasticci. Credo ci sia un prezzo giusto, non speculativo, che consenta di operare nel rispetto delle regole dell'arte. Se padronato e sindacati collaborassero in questo senso, tenendo conto dei cambiamenti nel mondo del lavoro, si potrebbero ottenere dei buoni risultati. Quando abbiamo fatto fronte comune, abbiamo sempre vinto. È questo che  intendo per sindacalismo moderno.
Il prepensionamento nell'edilizia: una sconfitta o una vittoria?
Una vittoria, indubbiamente. Dopo 30-40 anni di lavoro usurante, un operaio ha diritto alla pensione.
Il rinnovo contrattuale nazionale è alle porte. Si profila uno scontro inevitabile…
Abbiamo appena ricevuto le proposte della nostra centrale e quelle sindacali. Mai viste due versioni così distanti.
Non è mai stato così alle prime battute?
No, almeno non a questi livelli. È evidente l'assenza di dialogo preliminare. Noi ci parlavamo di più, scrivevamo di meno e trovavamo gli accordi. Temo che il rinnovo contrattuale attuale sarà un grosso problema. Una parte degli impresari, che sul piano nazionale tende a diventare maggioritaria, non vuole più il contratto collettivo. Se non si lavora per trovare una soluzione concordata, anche il contratto ticinese è a rischio. Ho sempre sostenuto che il Ccl è una base sociale indispensabile. Sarebbe da pazzi perderla. I falchi al nostro interno che vorrebbero togliere ogni regola, non si rendono conto che si arriverebbe a un imbarbarimento della politica salariale inaccettabile, arrecando un grave danno a tutto il settore.
Nel sondaggio ai muratori sulle priorità delle rivendicazioni, al primo posto ci sono maggiori tutele sindacali e migliori condizioni di lavoro. Le rivendicazioni economiche non sono più prioritarie. Qual è il suo giudizio?
Positivo. Grazie ai sindacati, gli stipendi nel nostro settore sono buoni. Spostare l'attenzione sulla stabilità dell'impiego o la sicurezza sul lavoro, ritengo sia un passo avanti.
Sport, musica e letteratura sono le sue passioni. Saranno le occupazioni del suo immediato futuro?
C'è chi dice che in pensione si sta benissimo e chi dice non sia facile abituarsi. I primi mentono. Vorrei continuare a lavorare, ma al massimo al 50 per cento. Ho ancora tante idee che vorrei realizzare, tra cui anche quella di mettermi a disposizione degli altri, magari con gli anziani. Non mi dispiacerebbe neanche avere dei ritmi di vita, finalmente, più tranquilli.

Pubblicato il

06.05.2011 02:00
Francesco Bonsaver
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