Scrivere di scuola di questi tempi non è facile, perché diventa quasi automatico occuparsi più del come che del cosa si insegna a scuola.
Mi prendo allora la libertà di fare astrazione e compiere un’irruzione là dove poco mi compete, sia per formazione che per pratica professionale, e cioè il campo della letteratura. E lo spunto lo “rubo” da un interessante articolo di Roberto Salek pubblicato su Verifiche nel novembre del 2018 e in cui Salek prendeva spunto, per proporre le sue riflessioni, da alcune considerazioni di Ernesto Galli della Loggia durante una sua conferenza tenuta presso il Circolo liberale di cultura a Lugano intitolata: “C’era una volta la scuola del futuro”.


Galli della Loggia, in quell’occasione, tratteggiava la scuola attuale come una scuola alla continua rincorsa del presente, un presente che nella realtà dei fatti corre sempre molto più veloce della scuola stessa, distanziandola costantemente. E, in questa sua continua rincorsa, la scuola, per Galli della Loggia, non riusciva più a trovare lo spazio e il tempo necessari ad insegnare l’uso degli strumenti irrinunciabili per poter capire e far proprio il passato, imparando a valutarlo con il necessario senso critico.


Di fronte allora a quanto sta avvenendo oggi, di fronte a questa tragedia del coronavirus, di fronte alla necessità di riuscire a capire perché e come possa essere successo ciò che sta capitando, di fronte al bisogno quasi fisico di riuscire a immaginare un dopo che si vorrebbe non avesse alcun legame con il presente, un dopo che molti vorrebbero invece riproponesse pedissequamente il “prima”, insomma in un momento di disorientamento emotivo e di visioni ecco che la letteratura occhieggia maliziosa nella cronaca e nell’attualità, con citazioni e riflessioni a partire da “I promessi sposi” di Manzoni o “La peste” di Camus.


Non per caso «la letteratura rappresenta lo sviluppo nel tempo di questa esigenza di narrare dell’Homo sapiens, che si iscrive all’interno di una identità linguistica e culturale specifica», come scrive Salek nel suo articolo.
Un bisogno di “narrare” che, in un momento di grande difficoltà come l’attuale, ritrova tutta la sua importanza, conquistando spazio non nelle pagine riservate alla cultura ma imperiosamente nella cronaca, trasformandosi così in un appiglio solido e utile in una realtà in cui è quasi scontato perdere le certezze fondanti. Il “narrare” del passato, e cioè la letteratura, ritorna ad essere così una componente centrale del nostro essere società.


Certo, tutto quanto precede potrebbero essere semplici riflessioni con radici cresciute e consolidate nel passato. Personalmente non credo che sia così. Credo invece che nei momenti di difficoltà, nell’incertezza del presente ma anche nell’angoscia del futuro, emergano forti e autorevoli i fondamenti non solo della nostra cultura, ma anche del nostro essere società. E il “narrare”, la letteratura ne fa parte con autorevolezza soprattutto per fornirci ulteriori strumenti per ragionare e immaginare il futuro, un futuro diverso, profondamente diverso sia dal presente, ma anche dal passato.


Riflessioni necessarie per porre le basi indispensabili alla costruzione di una società trasformata e diversa, che sappia imparare la lezione da quanto sta succedendo, proponendo così un cambiamento radicale a partire dai suoi assi portanti, dalle sue priorità, dai suoi valori, dalla propria struttura e dal suo modo di funzionare. Una società che non faccia cioè gli stessi errori narrati ne “I promessi sposi” o ne “La peste”, nel momento in cui la peste tornò a lasciar posto alla vita!

Ma questo è un altro, prossimo “narrare”...

Pubblicato il 

09.04.20
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