Nella notte del 26 giugno, dopo sei mesi di discussioni e più o meno velati ricatti, Alexis Tsipras ha scelto di cambiare interlocutore. Invece che a Renzi, Merkel o Hollande, il primo ministro greco ha deciso di rivolgersi al suo popolo, riconoscendo così che le decisioni fondamentali si prendono nelle urne e non nelle stanze dei bottoni.

Non sta infatti ad un ministro, né tantomeno a governi stranieri o a dirigenti delle istituzioni finanziarie decidere se sia legittimo sacrificare, sull’altare del grande capitale europeo, pensioni, potere d’acquisto e ciò che resta dello stato sociale della Grecia. Sull’ultimatum del Fondo monetario internazionale (Fmi), i cittadini e le cittadine greche dovrebbero quindi pronunciarsi domenica.


Un voto probabilmente non necessario, visto che la volontà di rifiutare i ricatti è già emersa chiaramente dalle ultime elezioni, quando la grande maggioranza dei voti è andata a partiti, di sinistra come di destra, ostili al servilismo verso le banche e le istituzioni europee. Una scelta che però non ha mancato di far infuriare i “sinceri democratici” al governo delle potenze del’Unione europea e al timone delle istituzioni del capitalismo occidentale.


D’altronde il presidente della Commissione europea Claude Junker aveva già messo le cose in chiaro nel gennaio scorso, dichiarando al giornale francese Le Figaro che «non ci possono essere scelte democratiche che vadano contro i trattati europei». I ministri europei delle finanze hanno inoltre significato al loro omologo greco Varoufakis che consideravano la questione del debito un tema troppo complicato per sottoporlo al popolo, abbandonando il tavolo delle trattative. Una scelta sorprendente per un Unione che pretende «basarsi sul principio della democrazia» come menzionato nel preambolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.


La contraddizione tra democrazia e Unione Europa si mostra così in modo inequivocabile. E non è la prima volta. Dieci anni fa olandesi e francesi votarono contro un progetto di Costituzione dell’Unione. Per tutta risposta, i governi europei concepirono un nuovo trattato, molto simile, e lo adottarono senza sottometterlo al giudizio delle urne.


A meno di un incomprensibile passo indietro di Tsipras, il referendum si farà. Il suo risultato, così come il futuro della Grecia e dell’Unione, è oggi particolarmente incerto. Ciò che invece è certo è il disagio crescente di chi, nonostante tutto, pretende ancora sia possibile costruire un’alternativa democratica e sociale per i lavoratori e le lavoratrici senza rompere la gabbia del l’Unione europea.

Pubblicato il 

02.07.15

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