Guerra

Escalation nella guerra all’Isil (Stato islamico in Iraq e nel Levante) che ha proclamato il Califfato a cavallo tra Iraq e Siria. All’alba del 23 settembre Obama, appoggiato anche da paesi arabi come l’Arabia Saudita, ha lanciato un attacco a Raqqa, il cuore del Califfato in Siria, con l’uso, per la prima volta, dei caccia più sofisticati F-22 Raptor invisibili ai radar. Un pericoloso azzardo se avvenuto all’insaputa del presidente siriano Assad, ma pare che invece Damasco sia stata informata attraverso l’ambasciatore siriano all’Onu. L’accordo della Siria era la condizione anche per l’assenso della Russia.

Barack Obama arrivato alla presidenza con la promessa di far uscire gli Usa dal pantano afghano rischia di precipitare nella fossa del Califfato. Comunque il “comandante in capo” della coalizione dei volonterosi deve essersi reso conto che, anche se ha raccolto intorno a sé quasi 40 paesi di cui 10 arabi, non può prescindere da un “accordo” seppur non ufficiale con i protagonisti del conflitto regionale, quelli considerati nemici, come la Sira e l’Iran. Infatti nell’ultimo incontro con il ministro degli esteri di Tehran si è parlato non solo di nucleare ma anche dell’attacco all’Isil. Complice la riunione Onu a New York degli esponenti di alto livello di tutti i paesi del mondo.


Forse così Obama riuscirà a superare il primo passo falso, ma non a vincere i fanatici combattenti dell’autoproclamatosi califfo al Baghdadi.


Dopo il discorso dell’11 settembre, Obama era partito immediatamente  – senza aspettare i “volonterosi” – con i bombardamenti delle basi (ammesso che si possano individuare) irachene dei jihadisti e con i rifornimenti militari ai peshmerga, i combattenti curdi iracheni, gli unici in grado di contrastare l’avanzata del “califfo” sul terreno.


Il presidente Obama per vincere i timori di nuovi “caduti in guerra” ha promesso al Congresso che i soldati americani non metteranno mai piede in Iraq (a parte i 1.600 già presenti oggi e gli altri 475 appena inviati, che però non partecipano ai combattimenti). Una settimana dopo gli Usa, sono partiti anche i caccia francesi di Hollande per colpire il nord-ovest dell’Iraq. Al via in ordine sparso, dunque.


L’appoggio dei paesi della regione è importante ma non risolutivo perché i loro interessi e impegni sono estremamente diversi. L’Arabia Saudita, molto impegnata nel sostenere l’opposizione siriana, ha appoggiato l’attacco Usa a Raqqa, il Qatar ha messo a disposizione la base militare, ma non si impegna direttamente se non ci saranno aiuti concreti all’opposizione siriana.

 

Quale opposizione? Il Qatar si riferisce all’opposizione armata, ma quello che era il referente iniziale dell’occidente, l’Esercito libero siriano, non conta quasi più nulla; il terreno è stato occupato dai gruppi jihaisti, oltre all’Isil il Fronte al Nursa, considerato il rappresentante ufficiale di al Qaeda. L’Arabia Saudita sta cercando di costruire un Fronte islamico alternativo a quelli esistenti, più accettabile e meno trucido. Ma è ancora un progetto. Soprattutto la Turchia che ospita la base Nato di Incirlik, molto vicina al fronte siriano, non garantirà un appoggio logistico agli attacchi perché, evidentemente, teme ripercussioni. Tra l’altro Ankara, il 22 settembre, ha chiuso la frontiera con la Siria per interrompere il flusso di profughi curdi che ha raggiunto il numero di 130.000. La Turchia, schierata contro il regime siriano di Assad, è stata il retroterra logistico degli oppositori. Da qui sono passati i finanziamenti e le armi provenienti dai paesi del Golfo e dall’occidente poi intercettate dai gruppi che controllavano la zona di frontiera e che sono serviti anche a rimpinguare l’Isil.


La Turchia ora impedisce anche il rientro in Siria dei curdi pronti a combattere contro il Califfato perché teme la formazione di uno stato curdo indipendente sia in Iraq che in Siria perché rafforzerebbe le rivendicazioni indipendentiste dei curdi turchi.


Questa è una delle conseguenze più prevedibili del rafforzamento militare dei curdi iracheni che già godono di una forte autonomia. Anche i curdi siriani erano riusciti a respingere i jihadisti con l’aiuto del Pkk curdo turco (il cui leader Ocalan sta scontando una pena a vita in un carcere turco), quindi i timori della Turchia sono fondati. Se questo avvenisse l’occidente per difendere l’alleato turco interverrebbe per distruggere i curdi che oggi sostiene e arma? Purtroppo la storia si ripete.


Soprattutto è difficile immaginare che si possa sconfiggere l’Isil solo con i bombardamenti e armando i curdi. Lo sostiene il capo di stato maggiore Usa Martin Dempsey che in una audizione al Senato Usa non ha escluso la necessità di inviare truppe in Iraq e Siria. Dello stesso parere è anche l’ex premier britannico Tony Blair, che di esperienza sul campo e di fallimenti con il predecessore di Obama ne ha accumulati. Blair, con un articolo sul suo blog, ha messo in guardia la Gran Bretagna: deve prepararsi ad unirsi a un’ampia coalizione che deve essere pronta ad un intervento sul terreno che includa anche truppe speciali.  


Blair sottolinea inoltre la necessità di combattere anche l’ideologia che sta dietro i salafiti (l’ala  estrema dei fondamentalisti) colpendo ad ampio spettro il fanatismo religioso. Ma l’ideologia non si combatte con le armi e con la repressione, altrimenti vince l’Isil, molto preparato a propagandare una ideologia basata sul fondamentalismo religioso arcaico con l’uso spregiudicato delle nuove tecnologie.

 

La gestione dei media da parte del nuovo Califfato non ha nulla a che vedere con i video diffusi da Osama bin Laden o dal suo vice: un recente video sulla vita in Iraq (naturalmente senza gli orrori cui è sottoposta ogni giorno la popolazione) era convincente e in netto contrasto con lo shock provocato dall’esecuzione degli ostaggi e con le minacce lanciate contro l’occidente. Persino le immagini più orribili – l’ostaggio con la tuta arancione dei prigionieri di Guantánamo e il boia in tuta nera con la sciabola – hanno un effetto positivo per l’arruolamento, soprattutto degli occidentali, pare. L’Isil si può permettere un uso diverso anche degli ostaggi perché non ha bisogno di denaro, ne ha accumulato molto in Siria (dove ha ricevuto anche molte armi) e ha svaligiato la banca di Mosul, quando ha occupato la città.  Si calcola che abbia nelle proprie casse 875 milioni di dollari.

L’occidente invece è assolutamente impreparato a contrastare il fenomeno dell’Islam globale che fa del terrorismo la sua arma destabilizzante.

Pubblicato il 

25.09.14

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