Si chiamano Jundallah, traducibile con i "soldati di Allah" o la "Brigata di Dio", sono di etnia baluca, vivono nella regione pakistana del Baluchistan, ma sono attivi in territorio iraniano, dove i baluchi sono oltre un milione. Sono di recente formazione, visto che l'organizzazione venne fondata nel 2003 da un ex- talebano, tale Abdel Makel Rigi, già noto come narcotrafficante, tuttora al comando. Sono alcune centinaia, di fede sunnita, che compiono incursioni in Iran per condurvi un'attività di tipo terroristico, a base di attentati ed esecuzione di prigionieri con lo sbrigativo metodo (propagandato di recente proprio dai talebani afgani) dello sgozzamento. Bene, gli "Jundallah", che secondo tutti i canoni politici prevalenti devono essere tranquillamente definiti "terroristi" sarebbero finanziati, armati e aiutati dagli Stati Uniti. Incredibile? A sostenerlo sono due inchieste: una condotta dalla rete televisiva statunitense Abc e l'altra dal settimanale britannico Sunday Telegraph.

Dunque, mentre le armate del signor Bush sono impegnate su scala planetaria nell'infinita "guerra al terrorismo", chiedendo l'incondizionato appoggio di tutti i paesi "democratici", altri americani si adoperano in aiuto di gruppi terroristici, come dire che il nemico non è il terrorismo in generale, ma solo quello diretto contro gli interessi Usa.
Ad agire sarebbero gli uomini della Cia, ma lo farebbero con il più alto consenso. Secondo quanto rivelato da Abc, degli aiuti ai "soldati di Dio" avrebbero discusso lo scorso febbraio a Islamabad il vice-presidente americano Dick Cheney e il presidente pakistano Parvez Musharraf. Una versione questa ovviamente confermata dall'Iran, ma che il portavoce della Casa Bianca si è rifiutato di commentare. Dal canto loro però, uomini della Cia, sotto la garanzia dell'anonimato, hanno riferito, secondo Abc, che questi aiuti sono effettivi, ma diretti unicamente a combattere i terroristi di Al-Qaeda. Una versione di comodo, ma che in ogni caso viene a conferma degli aiuti forniti. Al loro attivo vengono messi alcuni attentati, come quello in febbraio contro un bus di pasdaran (i guardiani della rivoluzione iraniana) che causò undici morti, e l'esecuzione di una decina di soldati catturati nel corso di un'operazione di guerriglia. Ma in Iran a battersi contro il regime degli ayatollah, i "soldati di Dio" non sono soli. Attivi sono infatti gruppi armati di numerose minoranze etniche, come quelle dei curdi, (a ovest) degli azeri (nel nord ovest), degli ahwazi, (arabi del sud-ovest) e dei baluchi, nel sud-est. Chi li arma?. Secondo uno dei più noti strateghi vicini all'amministrazione Bush, John Pike, citato dal Sunday Telegraph, «sarebbe uno scandalo se non fosse almeno in parte il risultato delle attività della Cia». Un coinvolgimento confermato da un ex-agente del dipartimento di stato, Fred Burton, riportate sempre dal settimanale britannico, secondo cui «gli ultimi attacchi verificatisi in Iran hanno visto il coinvolgimento statunitense nell'approvvigionamento e nella formazione delle minoranze etniche per destabilizzare il regime».
Un aiuto evidentemente pagante visto che attualmente si pensa di reclutare anche un'altra organizzazione terroristica, il Mek, cioè il braccio armato dei Mujaheddin-e-Khalq, attivo da tempo contro Teheran. Una decisione, ora che tale eventualità è divenuta di pubblico dominio, imbarazzante perché il Mek figura fra i gruppi terroristici nell'elenco compilato dal Dipartimento di Stato americano.
A Washington nessuno pensa che l'impiego di gruppi armati, pronti ad azioni di guerriglia e terroristiche possa rovesciare il regime iraniano, ma è indubbio che costituiscano un problema e provochino instabilità. Stando alla rete Abc, ex-agenti della Cia vedono nell'impiego di questi gruppi la ripetizione da parte del governo statunitense della strategia a suo tempo usata contro il governo sandinista del Nicaragua quando Washington ricorse a truppe fantoccio, a mercenari finanziati da altri paesi, come l'Arabia Saudita.
Ma non occorre cambiare di continente per vedere la continuità della strategia americana. In Afghanistan l'opera destabilizzante di Washington s'iniziò prima dell'intervento sovietico, anzi il finanziamento di gruppi armati contro l'allora governo progressista di Mohammed Taraki, subito bollato come comunista, ebbe ad un certo punto proprio l'obiettivo di coinvolgere direttamente l'Urss per impantanarla in un'impossibile guerra. Ottenuto questo risultato, per fare dell'Afghanistan il "Vietnam sovietico", armò i mujaheddin afgani e i volontari arabi al grido di "Dio lo vuole" (versione cristiana del Jihad – guerra santa- islamico).
Si sa come poi finì la faccenda, avviatasi con la creazione di campi di addestramento e reclutamento in Pakistan e avvalendosi della produzione di oppio (come era già successo anni prima nel sud-est asiatico) per finanziare " in nero" l'operazione. Fu così, sia detto per inciso, che cominciò l'invasione dell'eroina afgana delle città d'America e d'Europa.
A titolo di cronaca va anche ricordato che le direttive per gli aiuti militari vennero firmate dall'allora presidente Jimmy Carter, lo stesso che nel 2002 verrà premiato con il Nobel per la pace per «il suo impegno decennale alla ricerca di soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali, nell'affermazione della democrazia e dei diritti umani e alla promozione dello sviluppo economico e sociale».
È eccessivo dire che forse un po' meno impegni non avrebbero guastato? E chiedersi dove condurranno gli impegni attuali?

Pubblicato il 

27.04.07

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