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Erano più di mezzo milione in tutta Italia gli addetti del comparto delle imprese di pulizia, servizi integrati e multiservizi che lo scorso 13 novembre hanno dato vita ad uno sciopero nazionale: sono donne e uomini che si occupano di pulire ed igienizzare ospedali, scuole, università, fabbriche, mezzi di trasporto, uffici pubblici e privati. La maggior parte di loro è pagata all’ora, con 7 euro. Il salario e le indennità sono fermi da 7 anni, cioè da quando è scaduto il contratto collettivo nazionale, che la controparte padronale si rifiuta di rinnovare.


Con il coronavirus il lavoro in questo settore è diventato ancora più duro: il personale è continuamente sollecitato, è chiamato a compiti di pulizia supplementari e necessita di misure di protezione rafforzate. Per la prima volta è diventato visibile quanto queste professioni abbiano una rilevanza sistemica e siano irrinunciabili. Ma di aumenti salariali o di gratifiche non si è visto nulla. Anzi, negli ospedali il lavoro supplementare in parte non è nemmeno stato retribuito. E ad alcuni, per ragioni di risparmio, è stato ridotto il numero di ore di lavoro garantite.


Tutto questo ha portato al superamento della soglia di sopportazione. Nonostante la seconda ondata della pandemia, i lavoratori hanno incrociato le braccia rispondendo all’appello dei sindacati Cgil, Cisl e Uil. Sono scesi nelle piazze di un centinaio di città italiane per protestare contro il mancato riconoscimento delle loro professioni. “Invisibili e ultimi – mai più”, “Più certezza, più dignità”, recitavano i cartelli scritti a mano portati dagli scioperanti. “Ci trattano come l’ultima ruota del carro e il nostro lavoro non è riconosciuto. Non pretendiamo di essere considerati come un treno intero, ma siamo una sua parte importante”, ha sintetizzato una dimostrante.


Quello dei multiservizi non è l’unico contratto nazionale che non viene più rinnovato da anni. In Italia più dell’80 per cento delle lavoratrici e dei lavoratori continua a sottostare alla contrattazione collettiva. Ma Confindustria, sotto la guida di Carlo Bonomi, si rifiuta sistematicamente di rinnovare i contratti nazionali allo scopo di favorire il più possibile una contrattazione a livello di singola azienda, dove i sindacati sono più deboli.

Pubblicato il 

19.11.20

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