Il 14 novembre, per la prima volta nella storia europea, i lavoratori spagnoli, greci e portoghesi incroceranno le braccia lo stesso giorno. Al loro fianco, con iniziative di solidarietà, ci saranno anche i salariati francesi, italiani, belgi e di tante altre nazionalità (svizzeri compresi). È la reazione di un soggetto politico e sociale che alcuni consideravano in via di estinzione : i lavoratori e i loro sindacati. I leader delle organizzazioni sindacali della spagnola Comisiones Obreras, della portoghese Cgtp e della greca Denop, raccontano ad "area" la nascita di una grande speranza per una uscita comune dalla crisi e il sogno di una rifondazione dell'Europa a base del suo umanesimo sociale e politico.
Iniziamo con Armenio Carlos, segretario generale del sindacato portoghese Cgtp
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Armenio Carlos, la vostra iniziativa dello sciopero generale del 14 novembre ha ricevuto l'adesione dei sindacati spagnoli e greci. Anche altri sindacati europei protesteranno in solidarietà quel giorno. Questo sciopero unitario può rappresentare una svolta contro le politiche neoliberali?
È un fatto molto positivo che la Confederazione dei sindacati europei si sia mobilitata nel dare una risposta comune alla crisi, coinvolgendo anche i lavoratori del nord Europa. Dobbiamo affrontare uniti la recessione e la stagnazione delle economie europee. Il 14 novembre rappresenta una chiara risposta a livello nazionale ed europeo per cambiare la politica condotta dagli organismi dell'Unione Europea, cominciando dalla Commissione, la Bce e il Consiglio europeo.  
Se la Spagna chiederà un pacchetto di aiuti all'Europa, il Portogallo potrà evitare di chiederne un secondo?
Se peggiora l'economia spagnola, sarà inevitabile la richiesta portoghese del secondo pacchetto. Il piano di austerità biennale prevede duri tagli alla pubblica salute, istruzione e protezione sociale. Nel caso non siano centrati gli obiettivi, è previsto un piano B con la richiesta di secondo pacchetto. Noi invece proponiamo di modificare il regolamento della Bce affinché possa finanziare gli Stati allo stesso tasso d'interesse del 0,75 per cento che presta alle banche, di prolungare di due anni il periodo del pagamento del riscatto portoghese e l'instaurazione di politiche per lo sviluppo e l'occupazione. Altrimenti, non solo nessun paese uscirà dalla crisi, ma crescerà il numero degli stati messi in ginocchio dagli speculatori. In Portogallo perfino i rappresentati delle imprese hanno capito che non avranno futuro se non sostengono il consumo interno, che rappresenta il 95 per cento delle loro attività.
La signora Merkel arriva il prossimo lunedì a Lisbona...
Il 12 novembre a Lisbona riserveremo alla signora Merkel lo stesso trattamento di benvenuto ricevuto dagli ateniesi qualche settimana fa. La cancelliera tedesca si fermerà sei ore a Lisbona. Speriamo trovi il tempo di sentire cosa pensiamo della sua politica. Ci sarà una grande manifestazione davanti alla sede del governo per protestare conto le politiche di austerità che impone al Portogallo e nell'Europa del Sud. Il nostro slogan è semplice: «Non fare in Portogallo quello che non vuoi sia fatto al popolo tedesco».
La signora Merkel ha invitato i neolaureati portoghesi a trovare lavoro in Germania.
La signora Merkel ci propone il Portogallo degli anni'50, mentre noi proponiamo il Portogallo dello sviluppo. I nostri laureati e i nostri giovani sono la speranza per un futuro dignitoso del nostro paese. Senza di loro il paese non può progredire. La nostra mobilitazione sulle strade mira a creare le condizioni affinché possa tornare in patria anche chi è già stato costretto a emigrare per via della crisi.

«È ora di voltar pagina»
Fernandez Toxo, segretario generale delle Comisiones Obreras spagnole

Fernandez Toxo, perché le Comisiones Obreras hanno proclamato lo sciopero generale il 14 novembre?

Le Comisiones Obreras sono in prima linea contro la politica dei tagli, della recessione e disoccupazione del governo. Lavorando nell'ottica dell'unita delle lotte dei lavoratori abbiamo proclamato lo sciopero insieme a Alternativa Vèrtice, che rappresenta duecento organizzazioni e associazioni. Un percorso unitario per dare una risposta comune alla crisi che ha creato in Spagna già quasi sei milioni di disoccupati, mentre il governo tenta di cancellare i diritti di protezione dei lavoratori.
La Spagna è a un passo dal chiedere un pacchetto di aiuti all'Europa e al Fmi.
Il pacchetto va contro gli interessi dei lavoratori e dei disoccupati. Il partito Popolare ha vinto le elezioni con un programma e una volta arrivato al potere ne ha applicato uno completamente diverso. Non ha nessuna legittimità per fare i tagli, chiedere il pacchetto e distruggere la nostra società. Deve rispettare le regole democratiche. Insieme alle realtà sociali abbiamo chiesto al governo di sottomettere le loro politiche alle urne del referendum. Dobbiamo cambiare l'orientamento della politica economica e premere per lo sviluppo e la creazione dei posti di lavoro, rifiutando un pacchetto che porterà solo dei danni. La Grecia, il Portogallo e l'Irlanda stanno peggio da quando hanno avuto il pacchetto. Spagna, Italia, Cipro e Malta seguono questa corsa nel vuoto. Non devono far pagare alla gente la crisi delle banche. Dobbiamo voltare pagina in Europa con le politiche dei tagli, dei sacrifici inutili, dell'aumento della ingiustizia sociale e delle diseguaglianze e i colpi continui inferti ai diritti e la democrazia.
Ormai la crisi non è nazionale ma europea. Come può essere superata?
Dobbiamo lavorare per la rifondazione e rigenerazione dell'Europa e del suo sistema democratico. Abbiamo bisogno di un nuovo contratto sociale e il superamento delle politiche neoliberali. Serve una vera unione fiscale, economica, politica e sociale in Europa. Non dobbiamo assistere passivamente alla distruzione metodica dello stato sociale. È necessaria una massiccia reazione dei lavoratori. Il governo trasferisce parte dei tagli sociali ai governi autonomi trasferendo il malessere e i contrasti tra le comunità autonome del paese. Nel solo ultimo mese abbiamo perso 80mila posti di lavoro. Vogliono diminuire del 6,3 per cento i sussidi di disoccupazione quando quasi due milioni di famiglie hanno tutti i membri disoccupati. Più di 13 milioni di spagnoli, il 27 per cento della popolazione, vivono sotto la soglia della povertà e 2,2 milioni di bambini vivono in ambienti poveri o in situazioni di assoluta povertà.

Tre scioperi in dieci giorni


Nikos Fotopoulos, presidente del sindacato nella Impresa pubblica di elettricità (Deh), oltre ad aver condiviso immediatamente l'idea di uno sciopero unitario europeo, è uno dei più accreditati candidati alla carica di segretario della Confederazione sindacale greca. Recentemente è stato arrestato perché voleva rendere pubblici i nominativi delle grandi imprese a cui sono state condonate le bollette elettriche, quando i lavoratori e i pensionati continuano a pagarle.

I sindacati greci hanno annunciato tre scioperi generali in dieci giorni: il 6, 7 e 14 novembre. Non sono troppi?
Per il terzo anno consecutivo, il governo impone un forte taglio ai salari e le pensioni, cancella i diritti dei lavoratori aumentando la povertà e la disperazione delle famiglie, lasciando perfino senza medicine i pensionati. I sindacati hanno l'obbligo di esprimere il loro forte dissenso a queste politiche. Il 6 e 7 novembre abbiamo scioperato per bloccare in parlamento la votazione del "Terzo Memorandum". Il 14 novembre invece lo faremo per esprimere il nostro sdegno alle politiche neoliberali che stanno distruggendo l'Europa. Lo sciopero generale in Grecia, Spagna e Portogallo e le manifestazioni dei lavoratori in altre parti dell'Europa dimostrano che qualcosa sta cambiando nel Vecchio Continente. In Grecia, Spagna e Portogallo vivono quasi settanta milioni di persone. Siamo in tanti a dire basta.
Il governo e la troika premono per privatizzare quasi tutto, compresa la compagnia elettrica pubblica Deh.
Il governo vuole privatizzare la società pagata negli anni dai cittadini e per di più a un prezzo irrisorio se paragonato al valore dei suoi beni. Sostiene di voler difendere l'interesse pubblico senza spiegare come sia stato possibile che la Deh abbia realizzato 550 milioni di euro di utili nel 2010, e ne abbia persi 150 milioni l'anno successivo. Questo malgrado le tariffe siano state aumentate del 12 per cento. I conti non tornano. Come è possibile che imprese private di energia, quali Energa e Hellas Power, si accaparrano 200mila clienti da Deh senza che nessuno dei governanti se ne sia accorto? Se il governo riesce a dimostrare che la privatizzazione di Deh conviene ai cittadini, noi la sosterremo. Ma ne dubitiamo fortemente. I nostri dati dimostrano che quando i beni comuni sono privatizzati, le tariffe crescono mentre si abbassa la qualità dei servizi. Quale società privata fornirà l'energia ai prezzi di Deh agli abitanti residenti nelle centinaia delle nostre belle isole?
Recentemente lei è stato arrestato con altri 17 sindacalisti per «aver voluto distruggere la pace sociale».
Il governo doveva prendersela con i grandi debitori di Deh e non con chi voleva capire chi non pagasse le bollette. Il sindacato non ha canali televisivi e giornali compiacenti. Il governo ci perseguita perché denunciamo gli scandali. Essere sindacalisti nell'era della troika è a nostro rischio e pericolo.

Pubblicato il 

09.11.12

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