La nuova economia e le nuove forme di produzione di merci e servizi hanno fatto scomparire il concetto classico di fabbrica, cioè di quel luogo di produzione localizzato fisicamente in un preciso punto geografico. Oggi si parla sempre di più di delocalizzazione delle imprese o, in una parola, di società o di organizzazione del lavoro post-fordista. Ma cosa vogliano dire in pratica questi concetti e quali siano, ad esempio, le ripercussioni pratiche e immediate di questi concetti alla vita di tutti i giorni, o cosa centrino con la problematica dei trasporti, lo abbiamo chiesto al professor Christian Marazzi, docente e ricercatore presso la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (Supsi). Professor Marazzi, che cosa è, in poche parole, il post-fordismo? È un modello di organizzazione aziendale che ha quali caratteristiche principali la disarticolazione della tipica fabbrica tradizionale in una dispersione di unità produttive (oltre i confini nazionali, a volte addirittura continentali) all’interno delle quali la dimensione della comunicazione è di vitale importanza. Le unità produttive sono interrelate, unite in rete, sia con le nuove tecnologie della comunicazione, sia con una fitta rete di trasporti. Quando si parla di post-fordismo come modello di società e di organizzazione produttiva, il più delle volte si privilegia l’aspetto immateriale della nuova organizzazione del lavoro, trascurando il più delle volte la parte fisica, materiale di questa riarticolazione spazio-temporale della fabbrica diffusa. Tale parte materiale è quella del trasporto, da un’unità produttiva all’altra, di componenti e semilavorati secondo l’ormai famoso principio (giapponese) del just-in-time. Cioè la fornitura in tempo reale di semilavorati o di prodotti finiti in determinati punti di vendita o di assemblaggio sparsi sul territorio. Tale disponibilità è dettata essenzialmente dalla domanda, quindi dal cliente. Ciò rende tutto il settore dei trasporti assolutamente strategico. Si è detto e scritto molto sulla flessibilità della forza lavoro e della sua precarizzazione, ma si parla in modo insufficiente, anche in ambito sindacale, della centralità, in questo modello post-fordista, delle vie di comunicazione e della logistica. Per questo è importante quanto successo la settimana scorsa ad Arbedo. L’ottica con cui bisogna vedere la mobilitazione Coop della scorsa settimana, non è solo meramente economica, di miglioramento delle condizioni contrattuali, quindi? È anche quella, appunto, del just-in-time. Del bisogno di consegnare in tempo reale i prodotti Coop alle varie filiali, con tutti i risvolti negativi che ciò comporta per i lavoratori del settore. Ma lo sciopero ha un valore che va oltre la dimensione settoriale. È qualcosa che riguarda l’intera economia post-fordista. La faccia nascosta della delocalizzazione delle imprese è, quindi, quella di dover mobilitare continuamente merci e genti, per giunta rapidissimamente? Questo mette in rilievo l’importanza del trasporto su gomma, rispetto alla relativa rigidità del trasporto su rotaia. Insomma ci si può battere fin che si vuole per favorire il passaggio dai camion alla ferrovia ma la logica post-fordista vuole i Tir perché sono più flessibili e si arriva a consegnare merce fin nel luogo più sperduto. Secondo me, il limite dei trattati bilaterali tra Svizzera e Unione europea è che si è negoziato sul problema del trasporto su gomma da un lato, spingendo, dall’altro, la costruzione dell’AlpTransit per favorire lo spostamento dalla gomma alle rotaie. Ma il limite di questo approccio è che è circoscritto al trasporto delle merci e non include una negoziazione sul fronte della produzione delle stesse. Il medesimo discorso vale per la libera circolazione delle genti. Si fissano i diritti alla libera circolazione delle persone senza tener conto delle cause di povertà e indigenza delle popolazioni extra-comunitarie che premono alle frontiere dell’Unione europea. In entrambi i casi manca un corno del dilemma. Nel caso dei trasporti all’interno di un’economia post-fordista, se ci si limita a ricercare un compromesso sul mero piano dei trasporti stradali, si limita la possibilità del trasporto ferroviario di sostituirsi a quello su gomma. Le condizioni della produzione just-in-time sono quelle dette prime. In treno non è possibile rispettarle. E io sono convinto che anche se si alzassero di molto le tasse sul traffico pesante, queste ultime non basterebbero comunque per scoraggiare i camion e favorire la ferrovia. Il problema è del tutto politico. Bisogna vedere quali soggetti si coinvolgono politicamente. Credo che, per esempio, il soggetto politico sensibile alle tematiche ambientali vada cooptato organicamente con i soggetti che lottano all’interno delle fabbriche, per una difesa dell’ambiente, del lavoro e della qualità di vita, di tutti coloro che operano nell’economia post-fordista. Non è vero, quindi, che con tale nuova organizzazione del lavoro ci si è liberati dalla fabbrica fordista e quindi dal lavoro manuale? Assolutamente no. Le condizioni salariali e la precarizzazione delle condizioni lavorative, per fare un esempio, degli addetti del settore della vendita, non fanno pensare ad una liberazione dal lavoro, semmai ad una maggiore dipendenza. Tornando al settore dei trasporti, e agli effetti del trasporto sull’ambiente, basti pensare al Ticino e all’aumento, anzi l’escalation del traffico su gomma di questi ultimi mesi. Quando si affronta questo problema bisogna trovare il modo di coinvolgere nella negoziazione non solo i soggetti istituzionali (rappresentanti dei partiti e ministri dei trasporti) che pongono le questioni sul piano dei rapporti tra Stati-nazione, ma anche, se non soprattutto, i soggetti che operano concretamente all’interno della fabbrica diffusa sul territorio europeo. È un problema politico tipico del post-fordismo: saper elaborare strategie di lotta che evitino di affrontare separatamente le questioni del lavoro, della vita, dell’ambiente. Per esempio fra ecologisti, che hanno come priorità la tutela del territorio e dell’ambiente, e sindacati, che organizzano la mobilitazione della forza lavoro che produce queste merci. Se non si trova un’alleanza organica tra queste forze si riproduce la stessa dicotomia esistente a livello istituzionale. Per cui succede che il Consigliere federale Moritz Leunberger va a Bruxelles a negoziare il tonnellaggio dei Tir senza modificare alla radice i termini del problema. E la situazione peggiora. Secondo lei perché? Perché non si è messo sul tavolo delle trattative la ridefinizione della logica economica (tempistica, condizioni contrattuali dei lavoratori dei trasporti coniugate con quelle dei produttori dei beni trasportati, costi ambientali indiretti, qualità di vita a livello locale, ecc.) che sottende la dimensione spazio-temporale del modello post-fordista. Di fatto ci si è preclusi, alla fonte, la possibilità di ovviare al problema, pur costruendo tutte le trasversali ferroviarie alpine possibili e immaginabili che si vuole. Qui davvero l’impegno sindacale chiede di essere organicamente completato dalla mobilitazione politica, cioè dalla lotta di quella pluralità di soggetti che costituiscono la società civile post-fordista.

Pubblicato il 

25.05.01

Edizione cartacea

Nessun articolo correlato