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Dai media apprendiamo che l'età pensionabile a 67 anni sarebbe già una realtà in molti paesi. Si tratta di una sciocchezza. L'età di pensionamento effettiva è infatti inferiore: nel migliore dei casi, perché sono previste possibilità di pensionamento anticipato (come in alcuni paesi nordici e dell'Europa meridionale) e nel peggiore perché le persone vengono espulse, presto e senza rendite di vecchiaia, dalla vita lavorativa. E poi ci sono pur sempre paesi con un'età di pensionamento ordinaria inferiore ai 65 anni, come Polonia e Francia. E anche per quanto riguarda l'ammontare delle rendite c'è di tutto in Europa: paesi come l'Olanda dove i pensionati ricevono poco meno del salario che percepivano durante la vita lavorativa, paesi come la Germania in cui i salari sono buoni ma le pensioni basse e infine paesi come la Spagna e l'Italia con buone rendite di vecchiaia a fronte di salari bassi.


Ma una cosa in comune questi paesi ce l'hanno: le normative sulle pensioni e il livello delle stesse sono il risultato di battaglie sociali e di alleanze. In Svezia, per esempio, le buone pensioni pubbliche sono il risultato di un'alleanza tra il movimento dei lavoratori e quello dei contadini precedente già alla prima guerra mondiale. Le buone pensioni nei paesi del sud sono il frutto della Resistenza alla fine del secondo conflitto mondiale. In Austria invece l'età di pensionamento bassa e le buone rendite sono indice della forza dei sindacati.


A causa dei rapporti di forza sempre più sfavorevoli ai salariati, oggi si registra ovunque una tendenza al peggioramento della previdenza per la vecchiaia: l'età di riferimento viene aumentata e le rendite sono sempre più magre. In Grecia sono state abbassate in modo massiccio a causa dei diktat europei in materia di austerità. Ma anche in Germania il livello delle nuove rendite rispetto ai salari si abbassa progressivamente in seguito alle riforme previste dalla cosiddetta “Agenda 2020”, tema del confronto nella recente campagna elettorale per le politiche del 24 settembre scorso.


Anne Buntenbach dell'Unione sindacale tedesca chiede giustamente un cambio di rotta: «Altrimenti si finisce dritti nel precipizio facendo scivolare nella povertà milioni di persone in Germania», ammonisce.

Pubblicato il 

12.10.17

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