Tutto sembrava scorrere lungo i consueti binari, dopo Genova, Napoli, dopo il G8, la Nato, dopo l’esaltazione del libero mercato, della supremazia del capitale, della globalizzazione del profitto (e della miseria), la conferma della forza militare, indispensabile supporto per ogni disegno egemonico. Poi il terribile 11 settembre ha radicalmente mutato la scenografia. Non c’è più continuità, ma solo il «prima» e il «dopo». Il presidente americano ha dichiarato ufficialmente la guerra. Gli alleati della Nato, ma non solo quelli, hanno assicurato la massima cooperazione, all’occorrenza anche militare. Nessun ambasciatore in feluca ha portato al nemico la fatale dichiarazione, perché il nemico non ha un indirizzo, né un solo volto ed è ovunque. In qualsiasi modo lo si chiami, qualsiasi nome gli si voglia dare, qualsiasi sostantivo si usi per le sue armate, esso, il nemico, risponde a una sola ragione: quella dell’odio. E l’11 settembre ce ne ha tragicamente mostrato la potenza. Difesa spaziale:i nodi del progetto Odio non solo verso gli Stati Uniti, ma contro tutto il ricco Occidente. Il fanatismo religioso può portare agli atti più estremi. La cronaca ce lo rammenta quasi quotidianamente e la storia ce lo insegna. «Dio lo vuole»: mai, forse, invocazione fu più funesta e presuntuosa. Ma per alimentarla, per darle forza, occorre una serie di concause, che sono per eccellenza sociali, politiche. Nessuna religione è di per sé violenta, è la violenza a essere politica. Forse la «nuova guerra» proclamata da Bush si rivelerà essere quella che in tanti paventano da decenni, la guerra fra Nord e Sud. Il vertice della Nato a Napoli è il primo nella storia dell’Alleanza Atlantica che si tiene dopo la messa in stato di funzione dell’articolo 5 che, come ormai tutti sanno, impegna gli alleati a correre in aiuto del Paese che sia stato attaccato militarmente. In questo contesto il tema che alla vigilia, «prima», si presentava come centrale, quello dello scudo spaziale, parrebbe destinato a passare in secondo piano dinanzi all’emergenza terroristica. È evidente che in questo momento, avvertono gli analisti, la priorità verrà data alla lotta contro la minaccia terroristica, che può manifestarsi in tanti e terribili modi diversi. Fra i parlamentari statunitensi si sono già levate autorevoli voci contro il progetto di difesa spaziale basato sui missili anti-missili, da molti malvisto e che oggi viene definito non prioritario. Probabilmente nelle comunicazioni pubbliche e nei comunicati finali non avrà un posto di rilievo, ma non è detto. La fragilità dimostrata dal sistema difensivo statunitense, il fatto che siano stati sufficienti alcuni coltellini a mettere in ginocchio la prima potenza al mondo potrebbe finire per agevolare il disegno strategico di Bush (che gli attentati dell’11 settembre potranno solo avere rafforzato) basato appunto sul sistema Bmd (Ballistic missile defense), il progetto di scudo anti-missile. Perché non è vero che l’amministrazione americana consideri tale scudo una difesa contro i soli «Stati canaglia», quei Paesi (Corea del Nord, Libia, Iraq e Iran) che, secondo Washington, agiscono nell’illegalità internazionale e potrebbero dotarsi di missili nucleari in grado di colpire il suolo americano. La commissione Rumseld, dal nome del suo presidente, il ministro della difesa Donald Rumseld, nel difendere la richiesta di «armi spaziali come deterrente» è giunta ad affermare che la minaccia proviene «da gente come Osama bin Laden che potrebbe forse entrare in possesso di mezzi satellitari» (1) Un qualsiasi attacco nucleare agli Stati Uniti comporterebbe una rappresaglia di tale portata che è difficile ipotizzare uno Stato tanto «canaglia» da abbracciare la via del suicidio. Un’idea che avanza anche fra i «timidi» Però all’indomani degli spaventosi attacchi su New York e Washington, possibili solo con l’impiego di notevoli risorse finanziare e umane (ma queste costano poco, la carne da cannone è sempre a buon mercato) non dovrebbe risultare difficile far passare la tesi della minaccia spaziale anche da parte di organizzazioni terroristiche, un po’ come nei film di James Bond. Ma d’altronde quanto successo l’11 settembre non era già stato anticipato da film e libri? Nell’ambito della Nato, pur se sussistono alcune timide resistenze, i pareri favorevoli alla militarizzazione dello spazio stanno avendo la meglio. Valga per tutte la svolta del cancelliere tedesco Gerhard Schröder che lo scorso marzo parlò di «un interesse economico vitale» nello sviluppo di questa tecnologia dicendosi certo che la Germania non ne rimarrebbe «esclusa». Anche i governi non disposti ad accondiscendere supinamente alle richieste americane, al pari di quelli italiano e britannico, non possono ignorare i benefici che ricadrebbero sul proprio apparato industriale da una partecipazione ai programmi Bmd. Lotta armata globale al terrorismo sul pianeta e militarizzazione dello spazio potrebbero finire per fondersi in un disegno unico, delineando, nel segno della forza, quello che sarà il secolo tutto americano. Come hanno precisato il presidente Bush e il segretario di Stato Powell, la «nuova guerra» sarà lunga e condotta senza tregua. La rappresaglia americana, dunque, non si limiterà alla distruzione di qualche obiettivo, ricorrendo al lancio di missili o a bombardamenti aerei. Sono da ipotizzare anche azioni di terra, operazioni rapide di commandos alla caccia di «terroristi», o addirittura veri e propri atti di guerra guerreggiata, con dispiegamenti massicci di uomini e mezzi. I possibili teatri operativi I possibili teatri operativi sono ovunque: se la parola d’ordine è lotta al terrorismo, esso è presente in tutti i continenti, anche perché ormai con la denominazione di terrorismo vengono indicati quasi tutti conflitti contro un ordine costituito, non importa quale esso sia. Se non sono terroristi i guerriglieri del fronte di liberazione Tamil che combattono nel nord del Paese, lo sono i loro compagni kamikaze che si fanno esplodere all’aeroporto di Colombo; per il governo turco (la Turchia fa parte della Nato) sono terroristi i guerriglieri curdi, tanto quelli che combattono sulle montagne, quanto quelli che si fanno esplodere nelle strade di Istanbul; e in Colombia, in Perù, quali sono i guerriglieri e quali i terroristi? Lo stesso interrogativo ci si può porre per decine di altri scenari, a cominciare evidentemente dal Medio Oriente (vedi articoli sotto, ndr) dove solo Sharon è sicuro nelle sue certezze. Interessi americani nel mirino «Terrorismo» che quasi ovunque già coinvolge gli interessi americani: ad esempio in Indonesia, dove la Exxon Mobil è accusata di aiutare l’esercito indonesiano nella lotta contro i «terroristi» musulmani che si battono per la secessione dell’Ach, la parte settentrionale dell’isola di Sumatra. Accuse di coinvolgimento diretto in questo tipo di lotte vengono rivolte a multinazionali americane ed europee in Asia, Africa e America latina. Quali saranno i limiti della «lunga guerra» di Bush contro il terrorismo? Per condurre questa guerra, il governo statunitense può contare sull’indiscussa terribile forza del proprio apparato militare. La guerra contro il terrorismo, ha promesso George W. Bush, sarà certamente vinta. Ma per giungere a un’assoluta superiorità strategica, obiettivo ultimo di Washington, gli Stati Uniti hanno bisogno di risultare del tutto inattaccabili. Qui appunto entra in linea di conto il famoso scudo stellare, anche se da un profilo puramente tecnico più di uno scienziato dubita assai sulla sua assoluta affidabilità. Ma tant’è ! L’amministrazione Bush è determinata a realizzare quella che pensa sia la difesa assoluta. Per questo motivo è pronta a rompere i trattati in vigore, e giungere addirittura, pur di smussare le opposizioni, ad invitare la Cina a riarmarsi, a costruire nuovi e più potenti missili, a riprendere gli esperimenti nucleari sotterranei. Una pura follia, che risponde alla logica del «divide et impera», ma che porterà a una nuova corsa al riarmo generale, specie in Asia, dove Paesi come il Pakistan e l’India già possiedono l’arma nucleare. La bomba umana nell’era tecnologica L’assurdo di tutto ciò è che mentre si distruggono i trattati che hanno fino ad oggi garantito l’«equilibrio del terrore», mentre si corre ad armare lo spazio, l’arma nuova dell’era della massima conoscenza scientifica è quella della «bomba umana». Lo scenario è spaventoso. E allora occorre avere il coraggio di uscire dal coro bellicistico e cominciare a riflettere sul perché di tanto odio, sulle ragioni per cui in diverse parti del globo, non solo dunque in Palestina o in Libano, centinaia, migliaia di persone, hanno manifestato gioia dinanzi all’orrenda carneficina? Se lo chiede, offrendo una serie di sintetiche ragioni, Massimo Fini (2) in un lucido editoriale in cui, in modo semplice e realistico, annota come «se si trattasse solo di Bin Laden, la cosa sarebbe semplice, perché prima o poi lo si acchiappa e lo si neutralizza». Gli interrogativi riguardano e lo spregiudicato uso della forza di cui il mondo occidentale fa sfoggio ( qualcuno ricorda l’incredibile vicenda somala?) e «il meccanismo economico che disgrega le popolazioni del Terzo Mondo». D’altro canto, aggiungiamo, sarebbe sufficiente riflettere su quanto è accaduto a Durban alla conferenza dell’Onu sul razzismo e la xenofobia per rendersi conto della natura del profondo fossato che separa il Nord dal Sud. All’indomani del massacro, sul britannico Guardian si poteva leggere: «Il vero pericolo è che il mondo ricco nel suo assieme e non solo gli Stati Uniti, segua la politica dello struzzo nei confronti della maggior parte dei movimenti di protesta planetari». Articolo che si intitolava: «La miglior difesa è la giustizia». (1) Le Monde diplomatique, luglio 2001 (2) «Il Giorno» di giovedì 13 settembre

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21.09.01

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