Quando si sentono esaltare le virtù del centro in politica (quel centro che sarebbe stato abbandonato dai partiti borghesi per spostarsi a destra, e per questo sarebbero stati puniti dai loro elettori, che hanno votato contro il pacchetto fiscale), viene in mente una storiella un po’ cinica. Siamo nel Sudafrica dell’apartheid. Un poliziotto sta malmenando un nero perché è inavvertitamente salito sull’autobus riservato ai bianchi. Una terza persona, un turista, ha notato la scena e prende le difese del malcapitato. Il poliziotto gli risponde: «Lei è per caso un estremista, di quelli che vorrebbero tutto e subito? Sappia che in questo paese ci sono dei fanatici razzisti che progettano di uccidere i neri; io mi limito a maltrattarli. Mi sembra una scelta moderata che lei dovrebbe approvare». L’economia sociale di mercato, evocata in due interventi molto belli (un articolo di Diego Lafranchi, che dà la parola al filosofo Zygmunt Bauman, intitolato “La sicurezza, un privilegio?” apparso il 17 aprile su un quotidiano cantonale, e il discorso appassionato e coraggioso di Arnaldo Alberti il 1˚ maggio a Bellinzona, cfr. area n. 19 del 7 maggio) è un concetto che appartiene allo spazio teorico del centro. Ma, «…sotto la spinta apparentemente inarrestabile dell’ideologia neoliberista, [le società occidentali] stanno assistendo alla distruzione dell’economia sociale di mercato, ossia del modello economico-sociale che aveva reso possibile il forte sviluppo del dopoguerra». Probabilmente bisognerebbe aggiungere un’altra cosa: in mancanza di una controparte seria, il capitalismo sta sviluppando con coerenza fino in fondo la sua logica. Non è il liberismo ad essere prepotente, è il socialismo che è assente. Le riflessioni di Keynes sarebbero rimaste confinate nei libri di storia del pensiero economico se il capitalismo nel secondo dopoguerra non avesse avuto di fronte il sistema sovietico. Il keynesismo non è stato altro che un compromesso provvisorio fra due sistemi radicalmente opposti. Quando l’avversario è scomparso, non vi è più stato alcun motivo perché continuasse a sussistere il compromesso. Quindi, dopo la pausa keynesiana, siamo in presenza della continuazione dell’economia capitalistica di sempre. Ma a parte le considerazioni storiche, perché mai la sinistra deve ridursi a essere un aggettivo che accompagna il capitalismo in tutte le sue evoluzioni? Economia sociale di mercato, banca etica, sviluppo sostenibile, consumo intelligente, profitto ragionevole, investimento responsabile non sono altro che trappole linguistiche. Non sarebbe ora che il socialismo diventasse un sostantivo e per una volta lasciasse agli altri la libertà di accompagnarlo, se lo desiderano, con le loro sfumature, i loro suggerimenti, i loro consigli?

Pubblicato il 

04.06.04

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