Nell’Italia della crisi peggiore dalla fine della 2° guerra mondiale si sono persi alcuni milioni di posti di lavoro, con la chiusura di aziende e licenziamenti di massa. Si può fare, e i padroni l’hanno fatto senza incontrare grandi ostacoli, salvo la resistenza di gruppi operai e (pochi) sindacati.

 

Peccato però che dal 1970, l’anno del varo dello Statuto dei lavoratori, esista un articolo, numero 18, che impedisce i licenziamenti senza giusta causa: se un operaio viene buttato fuori perché iscritto alla Fiom o comunista o d’origine africana o gay, se lo stesso capita a un’impiegata perché incinta o con ridotte capacità lavorative magari in conseguenza di malattie contratte sul lavoro, allora in questi casi, e solo dopo la condanna della magistratura, quel padrone è costretto a riaprire le porte dell’azienda al lavoratore ingiustamente licenziato. O, in subordine, a pagare una cifra congrua alla vittima.


Ecco cos’è l’art. 18, una scelta di civiltà. A forza di manomissioni, ora questa tutela riguarda una minoranza di dipendenti: sin dalle origini la norma è applicabile solo a chi ha un contratto in un’azienda con più di 15 dipendenti; inoltre, tra il 70 e l’80% dei nuovi assunti ha un contratto precario ed è licenziabile sempre, senza se e senza ma. Allora Renzi oggi, come da sempre la destra, sostiene che questo totem va abbattuto perché blocca il mercato del lavoro e spaventa i padroni.


In suo soccorso interviene il presidente Giorgio Napolitano che urla contro “conservatorismi e corporativismi”. Si dice che i “privilegi” dei vecchi sono pagati dai giovani, che bisogna finirla con le ingiustizie e mettere tutti i lavoratori nelle stesse condizioni: le peggiori, senza diritti. Così, giurano, dando mano libera ai padroni e aumentando la flessibilità in uscita, l’economia ripartirebbe trainando benessere e occupazione. Altro che estendere a tutti i diritti di chi è più garantito come chiede la Fiom, altro che rilanciare gli investimenti per uscire dalla crisi: basta eliminare i diritti per tutti.


L’obiettivo di Renzi è di utilizzare l’art.18 per formalizzare il cambiamento di stagione e del Pd: massima deregolamentazione da un lato e superamento della sinistra dall’altro. Si naviga verso il partito (unico) del premier  con lo smantellamento dei corpi intermedi (sindacati in primis, già contrapposti l’uno all’altro) e un accentramento delle decisioni restringendo la democrazia (il Senato ci sarà ancora, ma non elettivo, così come le Province). Renzi vuole fare terra bruciata di ogni minoranza interna e si appella all’antico centralismo democratico, forte di una significativa ruota di scorta in caso di difficoltà. La ruota di scorta si chiama Berlusconi, riportato in campo proprio da Renzi per riuscire a passare là dove persino l’ex cavaliere era stato fermato.


Le minoranze Pd promettono battaglie, la Cgil di Camusso si dimena. Ma per ora, l’unica manifestazione di massa annunciata è quella della Fiom, il 18 ottobre a Roma a conclusione di uno sciopero di otto ore.

Pubblicato il 

25.09.14

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