La psicoterapeuta

In questo momento di disorientamento generale è difficile capire cosa ci spinge a reagire in un modo o nell’altro, come spiegare ai bambini cosa sta accadendo, ma senza spaventarli, come far capire agli anziani che devono stare in casa per proteggere sé stessi e la società. area ha cercato di mettere a fuoco la situazione con Norma Bargetzi, psicoterapeuta.

 

Signora Bargetzi, fino alla scorsa settimana molte persone, giovani e anziani in particolare, hanno continuato a uscire di casa senza osservare le raccomandazioni delle autorità, perché secondo lei?
La negazione è uno dei meccanismi principali di difesa e in questa situazione, soprattutto all’inizio, lo si è visto molto: persone che tendevano a minimizzare quanto stava accadendo, con il rischio però di banalizzare anche le misure di precauzione emanate dalle autorità. Credo che anche il nostro sentimento di onnipotenza abbia giocato un ruolo e ci stia mettendo in difficoltà di fronte a questo virus che invece sta rivelando tutta la nostra vulnerabilità.


Paradossalmente però, proprio agli inizi del contagio alle nostre latitudini, l’impressione era che la prudenza a non spostarsi in zone “a rischio” venisse proprio da quella generazione che poi ha faticato a capire che doveva restare chiusa in casa.
Le persone anziane sono molto più vulnerabili a livello fisico e forse più sensibili in generale, quindi in questo contesto sono coloro che per prime hanno drizzato le antenne sentendo quanto stava succedendo, visto che fin dall’inizio si è detto che rappresentano la categoria di persone più a rischio. Poi ce ne è stata una parte che forse ha faticato di più degli altri a capire quanto fosse importante restare a casa. Credo che l’appello dell’ex consigliera federale Widmer-Schlumpf, presidente di Pro Senectute, sia stato importante nel far capire a questa categoria di persone che stare in casa era un gesto volto sì a proteggere sé stessi, ma anche un atto di solidarietà: ok, tu anziano ritieni di aver vissuto la tua vita e non ti interessa se muori per questo virus, ma puoi infettare altre persone che invece vogliono continuare a vivere, e potresti occupare un posto prezioso in ospedale.


In passato le situazioni di emergenza erano più che altro legate alla guerra, ma a differenza di quanto stiamo vivendo ora le famiglie si riunivano e si stava tutti assieme per confortarsi e superare fisicamente vicini i momenti difficili. Oggi siamo più soli?
Siamo fisicamente lontani, ma non c’è isolamento: abbiamo la possibilità di essere vicini in altro modo: con il telefono, le videochiamate, le lettere e le e-mail. Sì, manca l’importante dimensione fisica, ma abbiamo la tecnologia che ci sta aiutando. Poi si stanno creando anche delle bellissime iniziative di solidarietà, si stanno creando molte cose belle a livello sociale. Trovo che abbiamo tantissimi contatti sociali in questo momento in realtà.
Una dimensione che in tutto questo personalmente mi spaventa è invece la solitudine nel confrontarsi con la morte. Dovremmo sfruttare l’occasione per discutere con i familiari di questo tema ancora molto difficile da affrontare apertamente, magari anche dire se si vuole essere ricoverati rischiando di morire soli, o se si preferisce restare a casa.


Se per gli adulti questa è una situazione difficile, non è facile nemmeno per i bambini. Come possiamo aiutarli a capire cosa sta succedendo?
Ogni fascia d’età ha una diversa capacità di comprendere, per i più piccoli (scuola dell’infanzia ed elementare) questo virus è qualcosa di assolutamente difficile da capire perché loro funzionano molto sul concreto, su quello che possono vedere e toccare. Anche per loro è cambiata la quotidianità, sono cambiati i contatti sociali ed è difficile spiegare perché, ma trovo siano nate diverse iniziative anche creative per cercare di far capire ai bambini cosa sta succedendo, con storielle e filastrocche.


Quanto è importante creare una routine anche se si è a casa?
Credo sia molto importante perché contribuisce a contenere l’ansia, anche per noi adulti. Penso che prendere un ritmo “da vacanza” ora sia illusorio: in vacanza si fanno altre cose, perciò cercare di mantenere i ritmi di quando si va a scuola, soprattutto nei pasti e nei rituali dell’andare a dormire li aiuta sicuramente.

Bisogna poi lasciar loro degli spazi per esprimere quello che stanno vivendo: con disegni, storie, lavoretti, senza dar loro un tema o delle indicazioni precise, semplicemente mettendo loro a disposizione il materiale per farlo e lasciare che si esprimano.


È difficile far capire ai bambini che non possono giocare con i loro amici, non possono abbracciare i nonni, se incontrano altri bambini per strada devono stare distanti... Come possiamo farlo?
Per i bambini il contatto corporeo è fondamentale ed è difficile per loro capire perché ora non è possibile, ma bisogna mettere delle regole, come quando un bambino sale sul davanzale di una finestra: prima lo si tira giù dal davanzale, poi eventualmente si spiega. Così ora, la regola è che si mantengono le distanze anche se è difficile, ma poi torneremo ad abbracciarci e giocare tutti assieme.
Penso sia una grande sfida per molti genitori conciliare lavoro e famiglia in casa, gestire le frustrazioni, il nervosismo, senza avere spazi per sfogarli al di fuori delle mura domestiche. A pagare di più questo prezzo sono le fasce meno agiate della popolazione, che hanno meno mezzi economici, spesso vivono in abitazioni più piccole e a volte hanno meno risorse anche a livello di gestione delle situazioni.

Pubblicato il 

26.03.20

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