Il nuovo volto del liberalismo

Non più tardi di un paio di anni fa, nel Partito liberale radicale (Plr) c'era chi lo sollecitava ad andarsene e addirittura chi ne chiedeva l'espulsione. A Philipp Müller, 60 anni, consigliere nazionale argoviese dal 2003, venivano in particolare contestate la sua visione in materia di politica migratoria e certe sue battaglie di stampo xenofobo. Ma alla fine non successe nulla e oggi Müller si appresta nientemeno che a essere incoronato presidente al posto del dimissionario Fulvio Pelli.

La sua elezione da parte dell'assemblea dei delegati avverrà il prossimo 21 aprile, ma l'esito appare scontato essendo rimasto l'unico candidato in lizza dopo la rinuncia del consigliere agli Stati glaronese Pankraz Freitag. Una rinuncia che ha suscitato forti mal di pancia, soprattutto nelle sezioni Plr della Svizzera romanda, dove è ancora forte la componente umanista. Tant'è che qualcuno si è spinto a ipotizzare una sorta di "piano B" che consenta almeno la riapertura della partita, cioè l'individuazione di un candidato alternativo da contrapporre a Müller. Un'operazione però difficile, perché gli eventuali piloti sono romandi e il candidato deve essere uno svizzero-tedesco. È circolato il nome del consigliere nazionale zurighese Ruedi Noser, che potrebbe presentare una candidatura dell'ultimo minuto (il termine è scaduto ma gli statuti lo consentirebbero), ma allo stato odierno delle cose è altamente probabile che il nuovo presidente del "partito che ha fatto la Svizzera" sarà uno che da una quindicina d'anni conduce battaglie contro la presenza di stranieri nel paese. A cominciare da quella per limitarla al 18 per cento della popolazione, che portò avanti nella seconda metà degli anni Novanta attraverso il lancio di un'iniziativa popolare, poi respinta in votazione nel settembre 2000 dal 64 per cento dei cittadini.
Un'iniziativa che è rimasta indissolubilmente legata al nome di Philipp Müller, una sorta di combattente solitario, che come unici alleati aveva solo una parte dell'Udc, alcuni partitini della destra xenofoba (Democratici Svizzeri, Partito degli automobilisti) e la Lega dei Ticinesi.
All'epoca infatti, a differenza di oggi, sullo scacchiere politico svizzero simili posizioni sulla politica migratoria erano assolutamente marginali: basti pensare che questa iniziativa per limitare al 18 per cento la popolazione straniera, ancor prima di essere respinta dal popolo fu bocciata all'unanimità dal Consiglio degli Stati e in Consiglio nazionale ottenne solo 14 voti favorevoli (pari a meno della metà dei 29 parlamentari che contava allora il gruppo Udc).
Per denunciare una presunta «politica degli stranieri lassista» del Consiglio federale a fronte di un «problema migratorio acuto» e per affermare la necessità di «una svolta» per impedire che la Svizzera continuasse a essere un «paese di immigrazione», Philipp Müller doveva ancora chiedere ospitalità al periodico reazionario Schweizerzeit. Un periodico fondato nel 1979, che, ricordiamo per inciso, nei primi anni Ottanta si distinse per la pubblicazione di numerosi articoli in sostegno del regime razzista dell'apartheid in Sudafrica e in seguito per aver ospitato numerosi scritti di Jürgen Graf, negazionista dell'Olocausto. Diretto dal consigliere nazionale Udc Ulrich Schlüer, padre dell'iniziativa contro i minareti, è considerata una pubblicazione «islamofobica e razzista» dalla Fondazione svizzera contro il razzismo e l'antisemitismo.
Non sorprende dunque che tra le "prestigiose" firme figurasse anche quella di colui che voleva cacciare dalla Svizzera centinaia di migliaia persone per contrastare il cosiddetto "inforestieramento" e proseguire così l'opera dell'ex consigliere nazionale James Schwarzenbach, leader del movimento xenofobo in Svizzera negli anni Sessanta e Settanta e promotore di un'iniziativa popolare (respinta di misura nel 1970) che mirava a limitare il numero di lavoratori stranieri in Svizzera al dieci per cento della popolazione e che era diretta essenzialmente contro gli italiani.
Lo stesso Müller in un articolo sulla sua iniziativa del diciotto per cento apparso su Schweizerzeit del 21 luglio 2000 fa esplicito riferimento all'iniziativa Schwarzenbach e alla «promessa non mantenuta del Consiglio federale», che all'epoca «aveva espresso la volontà di stabilizzare progressivamente la popolazione straniera in Svizzera».
Del resto, questa rivendicazione torna (in varie forme) in ogni azione politica del futuro presidente del Plr, il quale in veste di consigliere nazionale, oltre ad aver contribuito in prima persona a inasprire la legislazione in materia di stranieri e asilo nell'era di Christoph Blocher in Consiglio federale, ha depositato decine di atti parlamentari in favore di una riduzione dell'immigrazione da Stati extra-europei. In particolare attraverso un'ulteriore limitazione dei ricongiungimenti familiari da realizzarsi addirittura con il ricorso sistematico a test genetici.
Esattamente quello che recita un documento programmatico "Per un controllo più pragmatico dell'immigrazione, compatibile con i bisogni della Svizzera", elaborato dallo stesso Müller e approvato poco più di un anno fa dai delegati  liberali-radicali. Un documento choc che aveva indotto diversi esponenti dell'ala radicale di ispirazione umanista a prendere pubblicamente le distanze e a denunciare «una deriva populista» del partito, alla rincorsa dell'Udc.
Una rincorsa che ora si completa con l'elezione di Müller alla presidenza, il che non può non inquietare se si considera il curriculum politico del consigliere nazionale argoviese, che in queste settimane sta beneficiando di un'operazione di sdoganamento condotta da diversi media svizzero-tedeschi. «Non è giusto ricordare Müller solo per l'impresentabile iniziativa del 18 per cento», scrive per esempio la Neue Zürcher Zeitung, sottolineando la competenza dimostrata in materia di politica economica e le sue posizioni contrarie a recenti iniziative dell'Udc (come quella sul divieto dei minareti o quella contro "l'immigrazione di massa") e favorevoli alla libera circolazione delle persone (perché, spiega lo stesso Müller, «in Svizzera ci guadagniamo da vivere ma il nostro benessere lo costruiamo all'estero»). È curioso poi rilevare come Müller venga sì descritto come un presidente "anomalo" per il Plr, ma non per le sue posizioni sulla politica migratoria, bensì per il fatto di non essere né un accademico né un graduato militare, ma un imprenditore edile con in tasca il diploma di gessatore che, a differenza dei suoi predecessori, non ha alcun legame diretto con il mondo delle banche e della finanza.
Segno forse che il rispetto dei diritti delle persone (straniere) è ormai una questione di secondaria importanza all'interno del Plr. Ne ha dovuto probabilmente prendere atto anche la stessa presidente della "commissione cerca" chiamata a esaminare le candidature, l'ex consigliera nazionale ginevrina Martine Brunschwig-Graf, che è anche la presidente della Commissione federale contro il razzismo. Forse consapevole che difficilmente si sarebbe trovato qualche altro candidato, come ha avuto modo di affermare pubblicamente anche l'ex presidente del Plr (dal 1989 al 2001) Franz Steinegger: «Potremmo già essere contenti se si troverà qualcuno disposto ad assumere la presidenza del nostro partito».
Un dato di fatto che Philipp Müller ha saputo sfruttare al meglio per assumere una carica per lui impensabile sino a poco tempo fa.

Pubblicato il

30.03.2012 01:00
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