Il movimento imbavagliato

Il 15 ottobre si è manifestato in tutto il mondo contro la dittatura della finanza che impone le sue leggi liberiste e liberticide ai popoli e ai governi, a prescindere dalla loro colorazione. E' in Italia che il movimento ha risposto con più convinzione a un appello globale degli indignatos portando in piazza a Roma centinaia di migliaia di persone, soprattutto giovani a cui è negato il lavoro, il reddito, il futuro stesso.

Ha manifestato un popolo che non ha più una rappresentanza politica e fatica a trovarne una sociale, indisponibile a dare deleghe in bianco perché vuole riappropriarsi della politica, una politica opposta a quella asservita a interessi di parte e succube dei diktat della cupola globale, Fmi, Wto, Bce, società di rating che decidono chi salvare e chi affossare, e addirittura come farlo. La lettera di agosto della Bce allo screditato governo Berlusconi pretendeva addirittura di imporre una controrivoluzione delle relazioni sociali e sindacali riconsegnando tutto il potere alle imprese, cancellando i contratti nazionali di lavoro e ogni vincolo sociale in nome della produttività. In nome dell'abbattimento del debito sovrano si vuol abbattere l'autonomia del sindacato e dei lavoratori.
Questa era la premessa del 15 e al tempo stesso la ragione della partecipazione di massa.
Ma purtroppo, quel che i media mondiali hanno mostrato della piazza romana è tutt'altro: cinquecento giovani vestiti di nero, armati di spranghe, sampietrini, molotov e bombe carta hanno messo a ferro e fuoco la Città Eterna trascinandosi dietro un migliaio di ragazze e ragazzi orfani di tutto e gonfi i rabbia. Si è trattato di una guerriglia preorganizzata mirata ad azzittire un movimento nascente, pacifico e pacifista, persino ingenuo, lontano da ogni logica antica di servizi d'ordine che ha provato a difendersi chiamandosi fuori dal gioco del gatto e il topo tra nerovestiti e polizia e ad espellere dal corteo chi lavorava a distruggerlo. Inutilmente, l'obiettivo dei violenti era proprio quello di impossessarsi del corteo attirando polizia e carabinieri contro chi pensa che un altro mondo sia possibile.
Estremismo politico che si rifà ai black bloc insieme agli ultras del calcio e al lumpen proletariat metropolitano che vede come il fumo negli occhi ogni tentativo di rovesciare pacificamente l'ordine della politica in un paese in cui la politica è diventata merce di scambio, interessi privati e conflitti d'interessi, corruzione, compravendita di voti in parlamento.
Alla fine, tra i fuochi di cassonetti, automobili, una caserma, un blindato, tra vetrine sfasciate e il fumo di migliaia di candelotti lacrimogeni e immondizia bruciata, il gigantesco corteo si è frantumato in quattro-cinque spezzoni a cui è stato impedito da guerriglia e antiguerriglia di arrivare in una piazza San Giovani che pure per tre volte si è riempita di studenti, operai, disoccupati e per tre volte è stata svuotata dagli scontri che i neri hanno portato fin dentro la piazza. Con una gestione dell'ordine pubblico fallimentare che non ha isolato i violenti, anzi ha contribuito a riportarli dentro una manifestazione tanto indignata quanto pacifica.
Il movimento Uniti per l'alternativa nato al fianco delle lotte degli operai di Pomigliano e che ha aggregato studenti, precari, mondo della conoscenza, attivisti ambientalisti, insieme alla Fiom è stato l'anima del corteo con i No Tav della Val di Susa che si oppongono alle devastazioni territoriali dell'Alta velocità, i No Dal Molin nemici della nuova base americana in costruzione a Vicenza e tutti i movimenti cresciuti in questi maledetti, lunghi anni di berlusconismo. Tutti rimasti prigionieri di 1000-1500 guastatori. Ma oggi è all'opposizione sociale che viene presentato il conto dei disastri di sabato scorso.
La politica inneggia alla repressione, il ministro leghista degli interni e il sindaco fascista di Roma decretano il divieto di manifestare nella capitale, Di Pietro torna a indossare la divisa e chiede il ritorno alle sciagurate leggi antiterrorismo che hanno prodotto centinaia di morti e feriti negli anni Settanta e Ottanta. La prima vittima di questa follia è proprio chi, come la Fiom, da sempre sostiene che la democrazia si difende con la democrazia e che il conflitto sociale ne è il presidio. Questo venerdì c'è lo sciopero generale alla Fiat i cui lavoratori vengono falcidiati e gli stabilimenti chiusi da un Marchionne in fuga verso l'America, a cui si affianca lo sciopero degli operai della Fincantieri (azienda pubblica) in smantellamento, delle Ferrovie e del trasporto su acqua: in difesa del lavoro e di una mobilità socialmente ed ecologicamente compatibile, non energivora di petrolio e di diritti democratici. Ebbene, alla Fiom è stato negato il diritto di portare la protesta nel cuore di Roma e decine di migliaia di operai, accompagnati da altrettanti studenti, secondo il vertice dell'ordine pubblico dovranno camminare fuori da una città trasformata in zona rossa. E così sarà per il movimento dei beni comuni, per gli studenti in difesa della scuola pubblica e per chiunque voglia costruire una nuova politica.
L'opposizione sbanda tra la timida protesta del Pd e i deliri da legge Reale di Di Pietro, la sinistra è nel movimento ma fuori dai palazzi mentre nei palazzi c'è un uomo solo al comando: Silvio Berlusconi, che i due terzi degli italiani vorrebbero rimandare a casa. Persino gli imprenditori che da Berlusconi hanno avuto tutto e al Cavaliere si sono consegnati in cambio di favori e politiche classiste e antioperaie, sentito l'odore di bruciato, girano il pollice verso il basso. Persino le gerarchie ecclesiastiche, poco riconoscenti verso chi ha imposto per legge al paese la subalternità al peggior cattolicesimo, stanno scaricando Berlusconi. Ma lui si salva comprando voti in un Parlamento svuotato di poteri e ridotto a mercatino delle pulci.
L'Italia vive una difficile fase di transizione. A salvarla può essere più e prima di un'opposizione aventiniana un movimento forte, forse ancora immaturo ma generoso, indignato e convinto, radicato nel territorio, portatore di un'altra idea di sviluppo che sia rispettoso dei diritti sociali e dell'ambiente. Perché riesca nel suo obiettivo deve riappropriarsi della politica. Altrimenti il delirio sfascista di pochi rischierà di convogliare rabbia e disagio lungo vicoli ciechi

Pubblicato il

21.10.2011 03:00
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