Sanità e giustizia sociale

Si tratta forse del caso più eclatante che dimostra come le case farmaceutiche dettino legge sui prezzi dei medicamenti. E di come per farlo utilizzino metodi molto discutibili. Per ostacolare un farmaco dal prezzo accessibile a vantaggio di un medicamento più costoso i due principali gruppi farmaceutici svizzeri hanno diffuso informazioni ingannevoli. I prodotti, perfettamente sovrapponibili, sono inoltre stati artificiosamente differenziati. Ciò che ha generato costi sanitari enormi. In Italia della vicenda se ne è occupata l’Antitrust e le autorità di perseguimento penale. In Svizzera le autorità affermano di avere le mani legate. Nell'articolo correlato a lato, l'opinione del dottor Franco Cavalli sul tema.
 
Aggiotaggio: è questo il capo d’accusa con cui i due rappresentanti legali in Italia di Roche e Novartis sono finiti sul registro degli indagati. Aggiotaggio, stando al codice penale italiano,  significa turbare il mercato, pubblicando o divulgando notizie false, esagerate o tendenziose atte a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo di un prodotto. Nel caso specifico Maurizio De Cicco (Roche) e Georg Schroeckenfuchs (Novartis) avrebbero messo in atto «manovre fraudolente» finalizzate a turbare il mercato italiano dei prodotti oftalmici e realizzare così «ingiusti profitti patrimoniali». Così si legge, nell’avviso di conclusione delle indagini firmato dal pm di Roma Stefano Pesci.


La vicenda è nota da tempo e ha già fatto scorrere fiumi d’inchiostro. È la storia di due farmaci. Il primo si chiama Avastin, nato come medicamento antitumorale la cui licenza è detenuta da Roche. Da tempo, la comunità scientifica ha stabilito che il prodotto ha un’ottima e sicura resa anche per il trattamento della maculopatia, una malattia dell’occhio. Nonostante l’uso diffuso in ambito oftalmico, Roche non ha fatto nulla per richiedere un’estensione delle indicazioni di Avastin per questo utilizzo. Anzi, tramite la filiale Genentech ha creato un farmaco clone – il Lucentis – confezionato appositamente per l’uso in campo oftalmologico. La licenza del Lucentis è stata poi ceduta alla Novartis che, detto en passant, detiene circa il 30% delle azioni di Roche. La differenza tra i due prodotti è sostanzialmente il prezzo: se l’Avastin costa in Italia 80 euro, il Lucentis di euro ne costa 900. Una differenza abissale.


Novartis, però, non è riuscita ad imporre subito il nuovo farmaco poiché i medici italiani, per ovvie ragioni di costi, continuavano a prescrivere l’Avastin malgrado il farmaco non fosse autorizzato per questo trattamento (utilizzo off label). La posta in gioco è molto elevata: la maculopatia colpisce un anziano su tre sopra i 70 anni ed è la prima causa di cecità nel mondo occidentale. Nel 2012, l’Aifa (Agenzia italiana del farmaco) decide di obbligare gli ospedali a utilizzare il Lucentis al posto di Avastin. Nella vicenda, però, interviene anche l’Antitrust che, nel 2014, sanziona le due multinazionali basate a Basilea. Il motivo: «I due gruppi si sono accordati illecitamente per ostacolare la diffusione dell’uso di un farmaco molto economico, Avastin, nella cura della più diffusa patologia della vista tra gli anziani e di altre gravi malattie oculistiche, a vantaggio di un prodotto molto più costoso, Lucentis, differenziando artificiosamente i due prodotti». In sostanza l’Avastin è stato presentato come un farmaco pericoloso (ciò che è risultato poi inveritiero) condizionando così le scelte dei medici e dei servizi sanitari. Un cartello che, secondo l’Antitrust, è costato, nel solo 2012, un esborso aggiuntivo per il Servizio sanitario nazionale di oltre 45 milioni di euro, «con possibili maggiori costi futuri fino a oltre 600 milioni l’anno».


Per questa vicenda le due società svizzere sono state condannate ad una multa di circa 90 milioni di euro ciascuna. Una decisione contro la quale è stata fatta opposizione. Il Consiglio di Stato italiano, l’ultimo organo che deve trattare il ricorso ha chiesto un parere alla Corte europea di giustizia. La quale, lo scorso 23 gennaio, ha ribadito che l’intesa tra due aziende, «atta a diffondere informazioni ingannevoli sull’uso off label» di un medicamento al fine di ridurre la pressione che esercita su un altro medicamento, costituisce una restrizione alla concorrenza.


Pressioni e lobbing
Non vi è dubbio che in questa vicenda c’è stato un tentativo di strumentalizzare i profili di sicurezza dell’Avastin. Come? Attraverso tutta una serie di attività volte a sviluppare e diffondere il più ampiamente possibile una percezione di maggior pericolosità di Avastin. «A tale scopo – si legge in un documento consultato da area – spingendosi addirittura a predisporre apposite pubblicazioni scientifiche e piani di comunicazione mirati». Era la stessa Roche, affermano per iscritto diversi medici, che aveva inviato loro una lettera con la quale s’indicava che l’Avastin non era approvato per l’uso intravitreale e invitava a non usarlo per la cura delle maculopatie. Contemporaneamente anche Novartis cominciava a dire che era pericoloso usare Avastin e che si rischiavano guai giudiziari a usare un farmaco non approvato.  Emblematica è anche la vicenda con Federanziani. Quest’ultima, nel 2011, aveva scritto una lettera a Roche e Novartis per lamentarsi della sproporzione di costi esistenti fra Avastin e Lucentis in ambito oftalmico e le sempre maggiori difficoltà incontrate nell’uso off label del primo farmaco. Poi, all’improvviso, il cambio di rotta: la tesi dei problemi creati da Avastin viene sposata anche dalla stessa Federanziani. In un comunicato stampa del 2014, quest’ultima rivela dei risultati allarmanti in merito all’utilizzo del prodotto di Roche per la maculopatia. Secondo quanto riporta il Fatto Quotidiano, la Guardia di Finanza sospetta che il tutto sia stato creato ad hoc per «avvalorare la tesi della scarsa sicurezza dell’uso oftalmico dell’Avastin». Non sarà quindi un caso se, nel 2014, la stessa Federanziani ha ricevuto due finanziamenti da parte di Novartis, uno da 54.000 euro e un altro da  91.000 euro. L’informazione la si trova su un documento sul sito Internet di Novartis.

L’impotenza della Svizzera
In Svizzera, dove per il Lucentis le assicurazioni malattia spendono circa 75 milioni di franchi all’anno, questi metodi non sono necessari. Finché Roche non fa una domanda di autorizzazione a Swissmedic per l’utilizzo di Avastin in oftalmologia questo farmaco non può essere inserito sulla lista delle specialità stabilita dall’Ufficio federale di salute pubblica per il trattamento della maculopatia. Per questo l’utilizzo oftalmico di questo farmaco non può essere rimborsato dalle casse malati. Il coltello dalla parte del manico c’è la quindi Roche che ben si guarda dal chiedere a Swissmedic l’autorizzazione. Tanto riceve già le royalties per il Lucentis venduto da Novartis ma che è stato creato dalla Roche. «La Confederazione non dispone delle basi legali per obbligare le aziende farmaceutiche a far omologare un nuovo medicamento o a estendere l’indicazione di uno già omologato» ribadisce il Consiglio federale in seguito ad un’interpel-
lanza. Un’impossibilità d’azione che genera costi enormi per il sistema sanitario elvetico. Costi che toccano in primo luogo le casse malati: «Questo esempio dimostra come l’industria farmaceutica può cercare di massimizzare i suoi profitti a discapito dell’assicurazione di base. Purtroppo, i fabbricanti di medicamenti non possono essere obbligati a estendere l’indicazione dei loro prodotti per altri utilizzi che quelli previsti dall’iscrizione della sostanza sulla lista delle specialità» ci spiega Christophe Kaempf di Santésuisse.

 

Dimenticando forse di dire che, alla fine, questi costi vengono comunque riversati sui premi di cassa malati. E la Comco, non potrebbe intervenire così come lo ha fatto l’Antitrust italiana? No, ci viene detto da Berna: rispetto ad altri Paesi, come l’Italia, in Svizzera Roche e Novartis non hanno bisogno di ricorrere a un cartello. L’attuale sistema è già loro funzionale.

Pubblicato il 

22.03.18