Il brutto vizio del turismo fiscale

Il turismo fiscale è un divertimento comune a tante multinazionali. Esse vanno alla ricerca di bei posticini in cui gli operatori turistici tendono loro la mano offrendo trucchi fiscali pazzeschi. E non devono nemmeno essere lontani paradisi fiscali. La multinazionale svedese del mobile Ikea, il cui fondatore Ingvar Kamprad è deceduto lo scorso 27 gennaio, ha per esempio sempre prediletto l’Olanda. Trasferendovi tutti i suoi utili, solo tra il 2008 e il 2014 ha risparmiato almeno 1 miliardo di euro d’imposte. Google, Nike, Starbucks e altri agiscono in modo simile, in Irlanda, a Malta e in Lussemburgo. Anche la Svizzera è una destinazione particolarmente amata: Zugo e Obvaldo ospitano migliaia di società-bucalettere per evasori fiscali; e pure il Ticino si distingue imponendo le attività del colosso della moda Gucci e dei suoi manager con una risibile tassa turistica.


Il gigante americano Apple ha scelto invece l’Irlanda come meta, trasferendovi tutti gli utili derivanti dalla vendita di iPhone e Mac in Europa e facendoli addirittura sparire nei meandri della fiscalità, sfruttando un sistema di aliquote estremamente vantaggiose. Mentre le autorità irlandesi hanno assentito, per la Commissione europea era veramente troppo e così nel 2016 ha avviato una procedura d’infrazione nei confronti di Dublino, intimando la riscossione da Apple di 13 miliardi di euro d’imposte arretrate. La questione è ancora aperta in attesa di una decisione della Corte europea cui le parti si sono rivolte, ma per Apple l’aria si è fatta nel frattempo meno pesante: essa vuole ora rimpatriare negli Stati Uniti circa 300 miliardi di dollari di patrimonio e pagare in un solo colpo 38 miliardi di imposte. Sembrano tanti, ma in realtà è un affare, derivante dai nuovi regali fiscali decisi dal presidente Donald Trump: “A great deal!”.


L’Unione europea intende combattere con maggiore forza il turismo fiscale, perché le casse di molti Stati dell’Ue piangono: d’ora in avanti in ogni paese le multinazionali dovranno dichiarare pubblicamente il numero di persone impiegate, la cifra d’affari, gli utili eccetera. Sven Giegold, rappresentante dei Verdi tedeschi al Parlamento europeo, è soddisfatto: «Finalmente un po’ di luce sulle paludi fiscali europee!». Ma ai sindacati questo non basta e chiedono un’aliquota fiscale minima per le imprese a livello europeo. Almeno del 25 per cento, pretende l’Unione sindacale tedesca. Perché fintanto che ogni paese può attirare, attraverso un’imposizione sempre più bassa, i turisti del fisco, questo cannibalismo alla fine danneggia tutti.

Pubblicato il

08.02.2018 10:51
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