"Da grande voglio fare il tuffatore". Un'affermazione che forse da noi può suonare strana, ma non a Mostar, città della Bosnia-Erzegovina con una lunghissima tradizione di tuffi. Area ha incontrato Damir, tuffatore per professione.

Mostar, il capoluogo dell'Erzegovina, è conosciuta per il suo vecchio ponte, lo "stari most". Costruito nel 1566 e abbattuto durante la guerra nel 1993, è stato ricostruito nel 2004 e oggi fa parte del patrimonio mondiale dell'Unesco. Oltre alla bellezza architettonica e all'importanza storica del ponte (anche se non è più l'originale), ad attirare ogni giorno centinaia di turisti nella "stari grad" (città vecchia) sono i tuffatori. La tradizione dei tuffi a Mostar è vecchia quanto il ponte, con i famosi tuffi "a rondine". Il ponte, da secoli, rappresenta una sfida per i ragazzini cresciuti sulle rive della Neretva (il fiume che attraversa l'Erzegovina e taglia in due la città di Mostar), che appena imparano a nuotare nel freddo e velocissimo fiume, iniziano anche a tuffarsi. Prima dalle rocce sulle sponde e poi da sempre più in alto, finché alcuni coraggiosi arrivano a tuffarsi dai 25 metri (variabili, a seconda dell'altezza del fiume) dello "stari most".
«La prima volta che mi sono tuffato avevo 13 anni, era subito dopo la guerra, il vecchio ponte non era ancora stato ricostruito e al suo posto c'era una passerella di legno», racconta Damir, uno dei tuffatori professionisti del ponte vecchio. Damir prosegue: «ero salito sulla passerella con due ragazzi più grandi di me per vedere come si tuffavano, ma non per saltare. Poi quando loro si sono buttati ho sentito un impeto e mi sono tolto la maglietta perché volevo tuffarmi anch'io. Loro da sotto mi gridavano di non farlo, perché ero ancora troppo piccolo, ma mi sono bagnato la testa con la bottiglia di acqua fredda e sono saltato. Così è cominciata la mia carriera di tuffatore».
Damir, che oggi ha 26 anni, fa parte dell'associazione dei tuffatori di Mostar, un gruppo composto da una cinquantina di ragazzi che si tuffano dal ponte vecchio per professione e che sono visti un po' come "i guardiani del ponte".
«Noi che ci tuffiamo oggi abbiamo iniziato tutti subito dopo la guerra, quando il ponte non c'era ancora. Lo facciamo per passione e per lavoro», spiega, e racconta con quale trepidazione aspettavano la ricostruzione dello "stari most" per potervi saltare. Oggi come prima della guerra, i tuffatori si buttano nelle gelide acque della Neretva (la temperatura dell'acqua non supera mai i 13-14°C, nemmeno d'estate quando a Mostar ci sono 40°C) per guadagnarsi da vivere: «é un modo come un altro per guadagnarsi dei soldi, io mi sono pagato gli studi così – continua Damir – Prima di tuffarci raccogliamo i soldi tra i turisti, non si salta finché non si hanno almeno 50 marchi (marchi convertibili, che corrispondono a 25 euro, ndr) e per ogni tuffo tutti i soldi raccolti spettano a chi si è buttato. Ci si può tuffare più volte al giorno, a me è già capitato di fare anche 6 tuffi in una giornata».
Un mestiere proficuo quindi, pur non lavorando tutti i giorni, in un paese dove il salario medio è di 300 euro al mese (un tuffatore li può guadagnare in 2 giorni di lavoro). Ma come molti lavori "ben pagati", anche quello del tuffatore comporta dei rischi: tuffarsi da 25 metri d'altezza in un fiume che, soprattutto con la siccità estiva, non è molto profondo (non più di 5 metri) e nel quale l'acqua gelida scorre veloce, può essere pericoloso. E bisogna tuffarsi con qualsiasi tempo (tranne d'inverno, quando fa troppo freddo), perché, come spiega Damir «se piove non ci rimborsano i soldi "persi" per quella giornata, è il nostro lavoro. Anche se è un po' più pericoloso perché l'acqua è più sporca e la pietra del ponte bagnata è più scivolosa, ci tuffiamo ugualmente. La stessa cosa quando d'estate fa caldissimo e lo sbalzo termico è enorme: ci sono i turisti, non si può non saltare».
Nessuno tra i tuffatori però si è mai fatto male seriamente, a quanto ricorda Damir. I problemi possono sorgere invece quando sono i turisti a volersi tuffare dal ponte vecchio, senza avere una preparazione adeguata. «Se un turista si vuole tuffare nessuno gli può impedire di farlo, il ponte è di tutti. Se noi tuffatori siamo lì però, chi vuole saltare deve pagare 50 marchi. A volte succede che qualche turista si faccia male seriamente, o peggio, com'è successo l'anno scorso, muoia».


Quando cambiare è difficile

Bosnia-Erzegovina alle urne per quelle che sono state definite da molti come "elezioni decisive". I risultati entusiasmano a Sarajevo, ma non in tutto il paese c'è di che essere ottimisti.

Lo scorso fine settimana la Bosnia-Erzegovina ha dovuto eleggere i tre membri della presidenza collegiale dello Stato (un rappresentante per ogni "etnia"), oltre che rinnovare i Parlamenti delle due entità (la Federazione e la Republika Srpska), la Camera bassa del Parlamento nazionale, e i Parlamenti dei dieci cantoni che compongono la Federazione.
Nel periodo pre-elettorale, queste votazioni sono state molto enfatizzate, addirittura giudicate decisive per il futuro del paese, sensibili di orientarne la politica verso una maggiore unità e coesione tra le tre "etnie" che lo compongono (bosniaca-musulmana, croata e serba) oppure verso una definitiva rottura.
Con questi presupposti, i risultati delle elezioni nella Federazione, con un'avanzata dei Socialdemocratici a scapito dei partiti croati d'ispirazione nazionalista lasciano ben sperare chi crede e spera in una Bosnia-Erzegovina unita. Altra storia nella Republika Srpska, dove il partito nazionalista di Dodik (attuale Primo ministro della Republika Srpska), l'Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (Snsd), ha raccolto ampi consensi. Non tutti però credono che le cose cambieranno, come spiega ad area Dženan Hakalović, professore di storia al liceo internazionale di Mostar.
Dženan Hakalović, com'è il clima in questi giorni post-elezioni in Bosnia-Erzegovina?
È difficile dirlo, alcuni sono contenti, ma la maggioranza non è ottimista. È vero che l'opposizione ha preso molti voti e che alcuni partiti a stampo nazionalista hanno perso le elezioni, ma questo non porterà necessariamente ad una maggior unità nel paese.
Perché?
Sono piuttosto pessimista e temo che ci sarà un aumento delle tensioni tra croati e bosgnacchi nella Federazione. Il rappresentante croato per la presidenza, Željko Komšić, del partito Socialdemocratico (Sdp), è stato eletto soprattutto grazie ai voti bosgnacchi, e il principale partito nazionalista croato (l'Hdz) ne sta già mettendo in causa la legittimità. Non bisogna poi dimenticare che in Republika Srpska ha stravinto il partito nazionalista di Dodik, la cui "retorica della divisione" è diventata ancora più forte.
Non credo che le cose cambieranno molto rispetto a prima, solo perché c'è qualche socialdemocratico in più in Parlamento, ma spero di sbagliarmi.
Quindi non si tratta di "elezioni decisive" come si diceva prima del voto?
Penso che la situazione nel nostro paese continuerà a essere più o meno la stessa, con le tensioni di sempre. Probabilmente è più facile vedere una vittoria dei socialdemocratici per chi vive a Sarajevo, dove il 95 per cento della popolazione è bosgnacca e il "multiculturalismo" che caratterizza la Bosnia-Erzegovina in pratica non esiste. Nei cantoni misti invece, dove bosgnacchi e croati vivono assieme e devono condividere il potere, credo ci saranno continue tensioni e ostruzioni legislative.
Nel cantone dell'Erzegovina-Neretva ad esempio, caratterizzato da una profonda divisione tra croati e bosgnacchi, l'Hdz ha raccolto molti consensi, il doppio che negli altri cantoni. Hdz che è irritato per l'elezione di Komšić e che quindi cercherà in tutti i modi di mettere il bastone tra le ruote alleandosi con i nazionalisti serbi dell'Snsd. Dodik li supporterà sicuramente nella richiesta di creare una terza entità per i croati.
Quindi, secondo lei, le cose potrebbero addirittura peggiorare nelle zone profondamente divise, come a Mostar per esempio?
A Mostar e nell'Erzegovina era già difficile andare d'accordo tra croati e bosgnacchi, credo che non ci saranno grandi cambiamenti, né in meglio, né in peggio. In realtà nulla è cambiato: serbi, croati e bosgnacchi hanno votato prevalentemente i rispettivi partiti nazionalisti, come sempre da dopo la guerra. È triste, ma a quanto pare per il popolo Bosniaco è ancora più importante la propria "appartenenza etnica" rispetto all'economia del paese o all'integrazione europea o al sistema scolastico o a qualsiasi altra cosa.

Pubblicato il 

08.10.10

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