Grande Fratello

Quante volte mi è capitato? Migliaia. Mi torna in mente una battutaccia via email alla mia migliore amica. Ero alle prese con un funzionario del fisco che si accaniva su dettagli irrilevanti: “lo ammazzo!”, scherzavo. Mi sovvengo della corrispondenza con uno studente di giornalismo, in cui pontificavo sul mediocre lavoro dei media sul “terrorismo di matrice islamica”. Con mia suocera ci scriviamo in tedesco, insisteva che dovevo procurarle dei “Wassermelonen”.
Qual è il problema? Le parole indicate fra virgolette si prestano a una doppia interpretazione. Fuori contesto, sarebbe lecito presumere che abbia a che fare con il terrorismo, indulga in fantasie omicide e importi armi da guerra. Mi direte: sarebbe un problema in un racconto di Kafka, una boutade da film comico. E qui, purtroppo, sbagliate. Dal 1° settembre è entrata in vigore, con il benestare di due terzi dei votanti al referendum, la nuova Legge sul servizio informazioni Lsic (area 5 e 13 del 2016). Risultato? Chiunque in Svizzera comunichi attraverso Internet potrebbe ritrovarsi ostaggio di equivoci dalle incalcolabili conseguenze. Dal 1° settembre, faccio attenzione ai vocaboli che digito sulla tastiera di computer e telefonino. Ho modificato le mie abitudini in fatto di messaggeria: sono diventata meno ciarliera. E ho investito tempo e risorse per modificare le impostazioni di ogni strumento di comunicazione che passi per la Rete.
Il Governo ti ascolta
Qualunque sia la vostra vita privata e professionale, fra le polpette avvelenate della Lsic vi interessa in particolare la cosiddetta “esplorazione dei segnali via cavo”. Swisscom, Upc, Cablecom e gli altri operatori sono obbligati a mettere a disposizione dei servizi segreti l’intero traffico dei loro clienti. Contenuti compresi. La raccolta indifferenziata riguarda ogni comunicazione fra la Svizzera e l’estero. Aspettate a tirare un sospiro di sollievo, perché si tratta di un mero artificio dialettico: poiché non esiste una “Internet svizzera”, tutti e tutte siamo sottoposti a sorveglianza. Il Servizio delle attività informative della Confederazione (Sic) ha accesso agli Sms, ai messaggi Whatsapp, così come ad email, Skype, le ricerche fatte con Google, l’attività sui social media e gli acquisti on-line. Ogni volta che digiti, hai la certezza di essere intercettato.
Informatica spiona
Salta agli occhi, è un lavoro titanico. Chi lo fa? Zelanti funzionari selezionano le “parole chiave” da considerare “red flags”, campanelli d’allarme. Ma è un computer a fare i lavori pesanti: rintraccia le “parole chiave” nella enorme massa di dati intercettati. Poco importa se era una battuta, o un’osservazione da cittadina che legge i giornali e si inquieta su questo o quel disastro della geopolitica. Il computer recupera, mette da parte, e quando trova le “parole chiave” avvolge un filo rosso attorno ad una persona. Si tratta di indizi e vanno approfonditi. Notoriamente un calcolatore manca di ironia, i giochi di parole gli sfuggono e saranno degli umani a dover distinguere il grano dal loglio. Nel frattempo ti ritrovi nel settore “campanelli d’allarme”. E se per lavoro hai a che fare con violazioni dei diritti umani, se sei una sindacalista, se ti occupi di politica o di temi delicati, se sei un medico oppure un avvocato, hai un problema in più.
E il segreto professionale...
L’esplorazione dei segnali via cavo non distingue fra i mestieri. È la tomba del segreto professionale. Lo confesso, come giornalista investigativa sono in difficoltà. Mi capita spesso di essere in contatto via Internet con colleghi e colleghe che vivono in paesi dove i diritti umani sono carta straccia. Attivisti di ogni sorta sono il mio pane quotidiano, perché segnalano storie da indagare e raccontare; vicende di interesse pubblico che abbiamo il diritto di conoscere.
Un esempio concreto? Mi sono occupata di Azerbaigian (area 20 del 2015). Una dittatura che si nutre di petrolio e corruzione, come ha recentemente dimostrato, se qualcuno ancora avesse dubbi, l’inchiesta “Laundromat” pubblicata da www.occrp.org. Un paese in cui giornalisti e blogger finiscono in galera con inquietante regolarità, e ci restano per anni, accusati di reati che non hanno compiuto. Quello che per noi è un attivista dei diritti umani in fuga dalla dittatura, a Baku è un ricercato. E con tutta la buona volontà e la fiducia in Elvezia, non posso essere certa che uno James Bond bernese mai, e poi mai, condividerà le informazioni recuperate dalla mia casella di posta elettronica con i suoi colleghi azeri. Perché spirito di collaborazione e collegialità sono preziose in tutti i settori, figurati fra spie.
Si deve cambiare mentalità
Nella grafica allegata trovate alcuni consigli pratici per difendere la vostra vita privata e professionale dall’esplorazione dei segnali via cavo. Alcuni sono semplici da applicare, per altri ci vuole un poco di pazienza. Fatevi aiutare da un informatico, o da un’amica esperta nella materia, se non vi sentite fino in fondo a vostro agio con le diavolerie tecnologiche. Il primo e più grande cambiamento da fare, d’altronde, riguarda la mentalità e dunque le abitudini della vita quotidiana. Dobbiamo abituarci alle novità introdotte dalla nuova legge. Vale la pena tenere a mente che se abbiamo uno smartphone ci portiamo a spasso uno spione che registra e invia dati. E soprattutto, non possiamo ignorare il fatto che ogni volta che usiamo Internet, i servizi segreti sono all’ascolto. Non resta che sperare che le nostre spie abbiano senso dell’umorismo e un pizzico di buon senso.

Pubblicato il 

26.10.17
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