I prestigiatori di Economiesuisse

La spesa complessiva dello Stato – 170 miliardi di franchi nel 2003 – è finanziata per il 22 per cento dalle imprese, per il 35 cento dai contribuenti ricchi (il 20 per cento dei contribuenti), per il 31 cento dal cosiddetto "ceto medio" (il 60 per cento dei contribuenti), per il 5 per cento dai contribuenti poveri (il 20 per cento dei contribuenti), per il 2 per cento da altre entrate e per il 5 per cento dal debito. Lo Stato e le assicurazioni sociali sono dunque tenuti in vita per la maggior parte, quasi il 60 per cento, dalle imprese e dai ricchi. Dovremmo perciò essere loro grati e non disturbarli con un dibattito "poco sereno" sulle finanze pubbliche, per esempio opponendoci agli sgravi fiscali da loro richiesti: altrimenti i ricchi se ne vanno e addio mucca da mungere. Questo è in sintesi il messaggio di uno studio presentato il 20 agosto scorso da Economiesuisse, l'organizzazione che rappresenta gli imprenditori svizzeri.
Come quelle che raccontano a volte i bambini, certe bugie fanno tenerezza, perché rivelano molto più di quello che tentano di nascondere. Lo studio in questione fotografa infatti con un candore disarmante la distribuzione della ricchezza in Svizzera. Dato il carattere progressivo del nostro sistema fiscale, le imprese e le persone benestanti pagano la maggior parte delle tasse perché si appropriano della maggior parte del reddito prodotto in questo paese. Se i loro dipendenti ricevessero uno stipendio più alto, questi pagherebbero più tasse invece di costituire quel 20 per cento di popolazione povera che versa solo il 5 per cento alle spese dello Stato. Insomma, dovremmo ringraziarli perché ci pagano poco?
L'economista Daniele Besomi, commentando lo studio, si è domandato quanto è ricca quella parte della popolazione che versa il 35 per cento delle entrate complessive dello Stato. Per quanto riguarda il patrimonio, ad esempio, l'Ufficio federale di statistica fornisce alcune cifre: nel 2003 il 9 per cento più ricco della popolazione possedeva il 57 per cento della ricchezza totale della Svizzera, mentre i due terzi più poveri della popolazione possedevano il 5 per cento del patrimonio.
Si potrebbero aggiungere due considerazioni di tipo linguistico. La prima è che Economiesuisse è riuscita a imporre il concetto che l'economia coincide con il mondo imprenditoriale e con gli interessi degli imprenditori. Anche i mezzi di informazione si sono adeguati e scrivono "ambienti economici", "il mondo dell'economia" invece che "ambienti imprenditoriali" e "il mondo delle imprese". L'economia invece è un'altra cosa: comprende il lavoro, la paura di essere licenziati, l'emigrare, il contare i soldi nella busta paga a fine mese, saldare i conti con la cassa malati, pagare l'affitto. Come possono essere credibili le statistiche in cui il termine "economia" ha un significato tanto ridotto?
La seconda: come mai i lavoratori dipendenti, che sono la maggioranza della popolazione, sono nascosti dentro categorie fiscali? Si trovano in parte compresi in quel 20 per cento di popolazione povera che paga poche tasse, in parte nel cosiddetto "ceto medio". Le statistiche sono riuscite a far sparire una classe sociale che ha avuto il coraggio di pensare sé stessa e di avere una visione del mondo antagonista a quella degli "intraprenditori". Ma forse gli studi di Economiesuisse sono come gli spettacoli dei prestigiatori: uno pensa di aver passato una bella serata ammirando il tipo che estrae conigli dal fazzoletto, fa scomparire e riapparire le carte e indovina il pensiero. Poi a casa si accorge che gli manca l'orologio.

Pubblicato il

21.09.2007 13:00
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